Può un uomo tacere la verità senza perdersi, senza smarrire la propria essenza? Di certo non un uomo come Giancarlo Siani.
Un uomo come Giancarlo, forse sarebbe meglio dire un ragazzo come Giancarlo, non poteva tollerare che la verità risuonasse in un’eco assordante nella propria testa, non poteva permettere che la sua amata Napoli divenisse il feudo di camorristi e collusi una Fort Apache (il regno del più violento) come scrisse in un suo celebre articolo.
Giancarlo morì il 23 settembre del 1985 in via Vincenzo Romaniello, vilmente assassinato dai sicari di camorra che non gli hanno perdonato un articolo pubblicato sulle colonne del “Mattino” il 10 giugno, in cui venivano analizzati i rapporti di potere tra i clan del napoletano, in particolare le vicende che avevano portato all’arresto di Valentino Gionta.
Siani morì solo, come i grandi uomini. Solo, ma mai dimenticato.
L’arco della sua vita esemplare viene ripercorso anche dalla nostra Serena Vitolo nel podcast “Giancarlo Siani, una Mehari, una biro e la libertà” (fuori oggi).
L’autrice riavvolge il nastro a partire dal sangue versato sui sedili dell’ormai iconica Mehari in quella tragica notte di settembre, proprio quell’auto affettuosamente soprannominata “spiaggina” diviene il correlativo oggettivo del desiderio di libertà.
Dal racconto emerge il Siani giornalista, professionista solerte e instancabile, acuto osservatore della Napoli violenta e sognatrice, meravigliosa e mostruosa dei primi anni Ottanta. Contemporaneamente, riaffiora il Siani modello, l’eroe per i posteri, esempio da indicare ai nostri bambini ai quali auguriamo di riscattare il Meridione, di riuscire dove noi abbiamo fallito: si tratta del Siani di “Ragazzo normale” di Lorenzo Marone (Romanzo edito da Feltrinelli).
Sullo sfondo di questi dati oggettivi, l’eroe senza maschera, il narratore acuto, Serena Vitolo riesce, squarciando il velo dell’individualità, ad abbozzare il ritratto di Giancarlo uomo, ragazzo sognatore con il vento in faccia e la musica di Vasco allo stereo.
Si stampa nella mente l’impressione, mentre le parole si diffondono, di Giancarlo che canta “Ogni volta”, che indica la via con la sua penna, con il suo sacrificio esemplare, verso un ordine diverso, mentre Napoli scintillante e misteriosa, si illumina, ma poi sfugge sotto i fanali di una Mehari verde.
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