Vallo della Lucania: morì dopo il ricovero, Cassazione annulla condanna per i medici

Sette medici erano stati condannati in primo e secondo grado, ma la Corte di Cassazione ha annullato la Sentenza

Redazione Infocilento
Vallo della Lucania: morì dopo il ricovero, Cassazione annulla condanna per i medici

Il Tribunale di Vallo della Lucania e poi la Corte di Appello di Salerno con due sentenze succedutesi nel 2017 e nel 2022 avevano addebitato, con conseguente condanna penale ed effetti risarcitori sul piano civilistico, una grave colpa professionale per sette medici rianimatori del locale nosocomio, i sanitari S. F., D.V.A., B. M., C.M., C.A., P.G., G.T., per il decesso di una degente M.G. ricoverata a seguito di un incidente stradale, decesso sopravvenuto a seguito di gravissime complicazioni polmonari. La vicenda si è sviluppata in un lungo arco temporale, iniziato nel 2010.

In ospedale dopo un incidente: per la morte della donna non c’è responsabilità dei medici

Con una decisione emessa nel recentissimo 26 giugno 2024 la Corte di Cassazione, Quarta Sezione Penale, ha annullato la sentenza di condanna pronunciata nei confronti dei medici-rianimatori del nosocomio di Vallo della Lucania dalla Corte di Appello di Salerno e ha disposto che venga celebrata una nuova fase di giudizio innanzi la Corte di Appello di Napoli.

Il nucleo di avvocati, Franco Maldonato, Bruno Mautone, Mario Turi, Domenico Guazzo, Domenicantonio D’Alessandro, che hanno difeso fino al grado supremo della giurisdizione i medici hanno espresso una soddisfazione per l’esito del ricorso innanzi ai giudici di legittimità, poiché la decisione di annullamento di un verdetto di condanna rappresenta un punto importante per escludere una colpa professionale per i sanitari dell’ospedale vallese imputati nel procedimento.

Tali sanitari, hanno innanzi i magistrati della Cassazione sottolineato i legali Bruno Mautone e Franco Maldonato nel corso dello loro arringhe alla udienza del 26 giugno 2024, “in realtà hanno seguito una metodologia terapeutica prevista a livello internazionale inerente il riscontro di lesione tracheale ” smentendo talune asserzioni emerse in primo e secondo grado e ricondotte a Consulenti Tecnici medico-legali.

Gli avvocati difensori, considerando la delicatezza del caso e la complessità delle vicende sia giuridiche sia medico-scientifiche, hanno chiesto che l’udienza venisse celebrata in presenza e con discussione orale e diretta. Proprio i legali Bruno Mautone e Franco Maldonato in due lunghi interventi, ascoltati senza alcuna interruzione e con tangibile interesse dai magistrati della Suprema Corte, hanno evidenziato che, a differenza di quanto inopinatamente si è inteso decidere nel pregresso e doppio grado di giudizio, profili di responsabilità professionale non si riscontrano nell’operato dei sanitari della rianimazione poiché hanno agito con grande professionalità e grande scrupolo mettendo in campo ogni mezzo a disposizione e offerto dalla scienza medica per cercare di salvare la degente. Purtroppo le gravissimi complicanze respiratorie con una letale forma di polmonite erano conseguenze di un decorso cui la pur idonea metodologia seguita nulla ha potuto.

La decisione della Suprema Corte di Cassazione è interessante e sarà punto di riferimento per decisioni future in sede di merito e in sede di legittimità poiché si intreccia sui principi a seguirsi per giudicare il riscontro di colpa professionale per chi svolge attività sanitaria. Seguire una metodologia di terapia e di cura, optando per una scelta piuttosto che per un‘altra, beninteso supportata da esperienze e basi scientifiche, non rappresenta tout court una responsabilità professionale poiché la negligenza o l’inosservanza della scienza medica si deve rapportare alle concrete caratteristiche del caso singolo e non applicata astrattamente.

Nel caso dei sanitari vallesi i giudici con l’ermellino, a differenza dei magistrati del merito, non hanno paventato dei profili di responsabilità e perciò hanno annullato la sentenza che li vedeva condannati. La Corte di Appello di Napoli deve ispirarsi al principio-quadro “del non oltre il ragionevole dubbio”. In tale cornice professionale gli avvocati della difesa affilano le armi, sicuri di dimostrare anche innanzi ai magistrati del rinvio che non si ravvisano responsabilità per i propri assistiti.

Condividi questo articolo
Exit mobile version