Oggi l’anniversario della traslazione delle reliquie di San Matteo da Capaccio a Salerno

La leggenda di San Matteo: il ritrovamento delle Sacre Spoglie a Velia e la traslazione a Caputaquis e Salerno

Di Vincenzo D'Andrea

L’iscrizione latina di un’antica epigrafe esistente nel piccolo tempio dedicato a San Matteo (Casal Velino Marina) tramanda che nel 352 le sacre spoglie dell’Apostolo ed Evangelista Matteo giunsero in Lucania dalla Bretagna (Bruzio, odierna Calabria) trasportate da Gavino, un cittadino di Velia prefetto militare dell’Imperatore Valentiniano. Egli ne dispose la tumulazione nella sua città dopo l’imprecisato ritrovamento in Medioriente, (forse in Etiopia), dove l’Apostolo avrebbe predicato prima di essere ucciso per volere del re Irtaco.

La storia delle spoglie di San Matteo

Del sepolcro della prima deposizione si perse la memoria, soprattutto quando Velia (Elea, anno di fondazione 540 a.C.) conobbe il lento e inesorabile declino causato da eventi geofisici che modificarono totalmente la conformazione del territorio.

Intorno all’anno mille, l’antica polis greca, diventata poi Municipio Romano, era praticamente già finita da alcuni secoli, sepolta quasi interamente da fenomeni alluvionali e abbandonata dagli ultimi abitanti che si trasferirono sulle alture circostanti per sfuggire alla malaria e alle incursioni dei Saraceni.

La tradizione

Bisognerà aspettare l’anno 950 quando, secondo la tradizione, San Matteo apparve in sogno a Pelagia, una donna velina molto devota, esortandola a ritrovare i suoi resti nell’antica città ormai quasi dimenticata.

Il monaco Atanasio, informato dalla madre del sogno, si recò presso le rovine di Velia, riuscendo a individuare il sepolcro fra i resti di una domus ormai semisepolta dai sedimenti e occultata dai rovi, proprio nel punto esatto in cui il Santo aveva indicato in sogno alla madre. Egli, immaginò di fare oggetto di commercio delle sacre reliquie del Santo Evangelista, meditò di imbarcarsi più volte in gran segreto alla volta di Costantinopoli, o forse Roma, ma ogni tentativo di partire fu vano, perché secondo le cronache fu sempre impedito di salpare a causa dello scatenarsi di furiose tempeste. Dopo questi eventi si vide costretto ad occultare le reliquie in un piccolo tempio situato nella Piana di Velia a Duoflumina, un vasto comprensorio della Lucania Tirrenica i cui confini si estendevano da Pioppi a Sud e Omignano a Nord.

La traslazione

Intanto le voci del ritrovamento delle spoglie mortali di San Matteo erano giunte al Vescovo Giovanni II di Capaccio, il quale decise di recarsi a Casal Velino per farsi consegnare i resti dell’Evangelista. Dopo aver offerto ospitalità alla delegazione, Atanasio si risolse di recarsi nottetempo presso la cappella per perpetrare l’ennesimo tentativo di sottrazione delle reliquie del Santo, ma il suo piano fallì, perché fu scoperto dai chierici che ivi pernottavano.

Il mattino successivo un carro adorno di fiori salutava la partenza delle sacre spoglie dell’Apostolo da Casalvelino alla volta di Caputaquis, diventata sede vescovile. Il corteo fece sosta a Ruticinum (Rutino). Qui la tradizione vuole che San Matteo, accogliendo le preghiere degli astanti assetati abbia fatto scaturire dalla roccia una sorgente d’acqua freschissima, tuttora esistente all’ingresso del paese.

Dopo il miracolo dell’acqua il corteo proseguì il suo cammino arrivando a Caputaquis. Qui nella cattedrale di Santa Maria Assunta, che sarà poi dedicata alla Madonna del Granato, i resti furono tumulati sotto l’altare maggiore.

Successivamente, una delegazione di cittadini velini, si recò a Salerno, capoluogo del principato longobardo, chiedendo udienza al principe Gisulfo I per denunciare la sottrazione delle reliquie dell’Evangelista da parte del vescovo pestano, ma il principe non solo respinse la loro istanza, ma ne dispose anche il trasferimento nel capoluogo del principato.

Il 6 maggio del 954 in una piovosa giornata ebbe inizio la traslazione delle reliquie a Salerno, che furono sepolte nella cattedrale allora dedicata a Santa Maria degli Angeli. Nel 1080 Roberto il Guiscardo, ai fini di dimostrare la sua premura verso il Pontefice Gregorio VII e per ingraziarsi il consenso del popolo, diede inizio ai lavori di una nuova cattedrale in stile normanno che durarono ben 4 anni e fu consacrata dal pontefice nel 1084.

Innanzi a questo sepolcro si inginocchiarono e si prostrarono potenti regnanti, quali appunto Roberto il Guiscardo, Ruggiero II il Normanno, Lotario II di Germania, Guglielmo I e II di Sicilia, Federico II di Svevia, Carlo I d’Angiò, Ludovico di Ungheria, Ladislao di Durazzo, Carlo V di Spagna, Carlo III di Borbone, Ferdinando II di Borbone Vittorio Emanuele III di Savoia.

Viene attestata altresì la visita presso il Santo Sepolcro di San Francesco D’Assisi, in occasione del suo pellegrinaggio nel Meridione d’Italia nel 1222. Ebbe a compiersi così la profezia di San Gramazio, secondo vescovo di Salerno il quale prima di morire avrebbe profetizzato: “Non passerà ancora molto tempo e la Chiesa di Salerno si decorerà di un celeste tesoro e sarà portata all’apice dell’onore”.

Condividi questo articolo
Exit mobile version