Attualita'

La presenza di San Francesco ad Agropoli, da un racconto del 1911

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Nell’archivio segreto del borgo antico il nostro anonimo concittadino di inizio 1900, cultore della storia locale, custodiva numerosi libri e tra questi Ernesto Apicella ha ritrovato un racconto ,scritto nel 1911, e pubblicato nel 1926 da Nicola Forenza,maestro della scuola elementare di Agropoli, dal titolo: “La leggenda di S. Francesco in Agropoli”. Nel racconto, di prossima pubblicazione,il professore in una sua visita pasquale descrive il convento , la vita che lo animava e il passaggio di S. Francesco per Agropoli.

In occasione del 4 ottobre, ricorrenza di S.Francesco, Vi proponiamo un passo del libro riguardante la famiglia che nel 1911 (cento anni fa) viveva nel convento: 

(…) Ti sta davanti il Monastero immoto e muto da farti sentire i palpiti impercettibili del silenzio, con un’aria di rigida severità, come di chi è immerso nei ricordi di un passato di vita e di gloria. Annerito al di sopra e, sotto, imbianchito nella prima parte per metà fino a un balconcino, e, nel resto, a statura di uomo; forato di balconi, finestre e finestruole con fasce bianche, disposti senza ordine e senza simmetria, tutti chiusi da impannate annose e rugose, tranne un balcone al primo piano, che mette su di un terrazzo, dal quale spiccavano verdi i rustici testi di menta, malvarosa e garofani. Infilai la prima apertura, sforzata a porta nel muro, riuscii nel vano del cortile: mucchi di macerie, ammantate di erbe selvatiche; arcate murate e archi ancora intatti; in su, finestrini, parecchi, stipati di paglia; un fascio di luce dal di sopra, fetore di stalla al di sotto; un mugolio di vento girante per quei vani, e poi silenzio e sonno!... Timidamente inoltrandomi non sentivo che il mio respiro e l’eco dei miei passi, e uno spulezzio di lucertole e ramarri turbati nella loro pace, goduta di pancia al sole. A destra, vidi una porta spalancata con un fondo tutto nero: ne passai la soglia, e un gatto, lesto, scappò via. E’ una celletta, tenuta per cucina, tutta incrostata di fumo: sul focolare spento v’era un residuo di tizzi e fili di ginestra semiarsi con un paiolino contenente un po’ di siero; una sudicia tavola, dei panchettini, sedie spagliate, mestole e forchette di legno affidate a uno spago presso il muro formavano gli attrezzi di quel rozzo e buio abituro. Girato uno sguardo di curiosità, ero per ritirarmi indietro, quando:

- Ehi Eccelenza - scuotè una voce umana. -

- Oh, buon giorno, buon uomo! -

Era un vecchietto basso, curvo, dalle gambe quasi a roncolo, gentile e festoso nei modi e nelle parole; si faceva avanti col cappello in mano e a capo scoperto, avendo tralasciato di lavorare per far onore all’insolito visitatore.

- Copritevi, copritevi-soggiunsi– Voi state in casa vostra.-

- Come mai da queste parti? -

- Per dare un’occhiata a quest’antico monastero. -

- Ah! Peccato, peccato!... E’ un pecorile, un porcile, adesso….. Favorisca, Eccellenza!... -  E per un anditino oscuro e nero m’introdusse in una stanza imbianchita, la cui masserizia constava di un letto maritale, un cassone, una tavola e poche sedie bianchicce e piuttosto comode. Appiccicata al muro grandeggiava una figura di San Francesco, tutto assorto nella contemplazione del Crocifisso.

- Signorino mio, questa è la nostra abitazione: io e mia moglie. Adesso è fuori che zappetta il grano e bada alla capruccia: la mattina e la sera si spiccica un po’ di latte, e si busca per mangiare. Se non si vende, via, si fa cacio. Guardi!... - 

E con la mano destra accennava in alto. Dal soffitto pendeva, sostenuta da funi, un’ asserella, sulla quale, in fila, spiccavano bianche caciòle, l’una all’altra addossate.

Stamattina se n’è fatto un po’! - continuò lui. E corse premuroso al cassone, donde estrasse un caciolino fresco, bianchissimo, ancora gocciolante, e me lo portò fin sotto il muso.

- Prenda! E’ buonissimo e pulito. L’ho fatto io, che quando mi ci metto, vado prima a lavarmi le mani, col sapone, sa .- 

- Grazie!- 

-Ma veda… C’è altro ancora… Eccellenza! - 

- E ancora di là cavò fuori una bottiglia di vino e un pezzo di pane nero.

- Roba vostra! - mormorò, compreso di gioia, posando tutto sulla tavola, e accostandovi amorosamente una sedia.

- Grazie, grazie tante, buon vecchio. -

- Ma senza scrupoli!... noi siam povera gente, e offriamo alle Signore Eccellenze quanto c’è in casa. Via mettete in cammino i denti. -

- Grazie! A quest’ora nò. Lo stomaco non porta. Grazie. - 

- Con tutto il cuore! -Esclamò mortificato.

Così dicendo, con fare quasi penoso, rinchiudeva nel cassone quant’era stato gentilmente offerto, e sì ostinatamente ricusato (…)

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