Il Cilento dei Cilentani

La Candelora nella disamina dei proverbi

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La Candelora è una ricorrenza liturgica celebrata dalla Chiesa Cattolica e ricorre il 2 di febbraio. Il nome è legato all'usanza di benedire le candele in questo giorno, simbolo della luce e del Cristo. Un primo connubio tra la festività e la cultura popolare risiede nell'usanza di portare a casa la candela benedetta in chiesa come augurio e auspicio. La credenza popolare ad essa attribuisce anche un valore - non solo simbolico - strettamente legato alla prosperità agricola dell'annata.

 Per certi versi, a livello scientifico, possiamo affermare che l'incidenza delle condizioni atmosferiche può coincidere con la buona riuscita del raccolto: un inverno piovoso o la fine in anticipo o posticipata della stagione fredda, può influenzare la riuscita della semina e la produzione in genere dei frutti della terra. Passando alla disamina dei proverbi, la “Candelora” dunque lega la sua proverbialità proprio alle condizioni meteorologiche, tuttavia in contrasto tra loro se ci spostiamo da un luogo all'altro: ciò è dettato dalle condizioni tipiche di un determinato luogo. In questo caso “i detti popolari” diventano “attivi” solo nel contesto di appartenenza. “Quanno vene la Cannelora ra (/lu) vierno simo fora(/e) ma si chiove o mena viendo quaranda juorni re maletiembo” è questo uno dei più diffusi proverbi cilentani legati alla “Candelora”, seppur discordante con altre varianti, sempre orbitanti nello stesso territorio: “si chiove a Cannelora ra lu vierno simo fora ma si neveca o mena viendo quaranda juori re maletiembo”. Simile nella costruzione lessicale ma in netto contrasto di significato: nel primo caso la pioggia è indice di continuazione dell'Inverno, nel secondo è l'esatto contrario. In entrambi i casi, invece, il vento è presagio di continuità. Altre accezioni recitano: “si neveca o si chiove a Cannelora ra lu vierno simo fora” contrastando ancora una volta in rapporto sia all'uno che all'altro caso. Tuttavia ciò non determina una sbandierata inattendibilità dei “detti popolari” ma rafforza la supposizione che essi siano fortemente legati alla zona di appartenenza. Inoltre, sconfinando dal territorio cilentano, la situazione muta quasi completamente e nel napoletano - più o meno - abbiamo la seguente versione: “'A Cannelora Viern è fora! responn San Biase: Viern mo' trase! dice a vecchia dint' a tana: 'nce vo' 'nata quarantana! cant' o monaco dint' o refettorio: tann' è estat quann' è Sant'Antonio!” che si traduce in: alla “Candelora l'inverno è finito”; risponde San Biagio (che ricorre il giorno seguente) “L'inverno ora inizia”; dice la vecchia dentro la tana “ne mancano ancora 40”; canta il monaco dal refettorio “L'estate arriva quando viene Sant'Antonio”. Dunque, anche una disamina superficiale, mostra le disparità che emergono nell'analisi di questi proverbi, sia nel raffronto locale sia in quello a scala regionale e interregionale. Conclusa questa breve disamina, ancora una volta rimane vivo il tramando delle tradizioni e con esso “la proverbialità di una lingua”, sfaccettature che da secoli accompagnano la quotidianità del Cilento e delle sue genti.

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