Il Cilento come lo si intende oggi abbraccia tutta la parte sud della odierna provincia di Salerno, inglobando, in buona parte anche il Golfo di Sapri e il suo entroterra. Vibonati, nella parte più estrema di questo “Basso Cilento”, è un paese abbastanza rustico e antico arroccato su di una sommità dalla quale si erge la Chiesa del Santo patrono, è sito a 110 metri sul livello del mare ed è confinante coi comuni di: Sapri, Torraca, Tortorella, Santa Marina ed Ispani. Si estende per oltre un chilometro su di una collina la quale, declinando ad oriente e mezzogiorno, va a raggiungere la pianura fino ad incontrare “la Marina” con la frazione di Villammare, lo sbocco marittimo su cui Vibonati stessa ha esercitato gran parte dei suoi poteri da tempo remoto. Mentre dalla parte opposta, la collina su cui si adagia il borgo si congiunge con altre colline denominate nell’insieme “Monti della Serra”, ed alla base è bagnata da due torrenti: Fontana e Anafora, che insieme al Ceraso, scorrono a formare il Cacafave/a, un torrente sul cui nome alquanto bizzarro vale la pena spendere qualche parola, in quanto deriverebbe dalla stragrande quantità di fave coltivate ai suoi lati che, una volta straripate le acque, puntualmente finivano un po dappertutto lasciando quasi immaginare un’intensa “pioggia di fave”. Questa sostanzialmente è la Vibonati medievale, sorta per l’esattezza nel 567 d.C., sotto il Consolato di L. Quinzio Flaminio e di origini dunque prettamente romane: una di quelle tipiche “città” alto-medievali che nascevano proprio per proteggere da eventuali attacchi marini e nel contempo, per usufruire del vantaggio commerciale che innegabilmente il mare ha sempre offerto. E come ogni città medievale che si rispetti, una città chiusa, perché munita di due porte, le quali furono e sono rispettivamente la Porta Fontana e la Porta del Ponte, l’ultima delle quali in vista di modifiche nel XIX secolo. Già tra XVI e XVIII secolo però, Vibonati assistette ad un allungamento del suo territorio oltre le mura dando così vita alla zona così detta del Borgo, mentre solo con delibera Decurionale del 5 Dicembre 1830, si effettuò l’accennato riparo di cui allora necessitava la Porta del Ponte in prossimità della Casa Curzio, la cui proprietaria, secondo documenti dell’epoca, avrebbe dovuto versare una quota atta al sostenimento dei lavori stessi. Quanto invece all’etimo del toponimo, non poche sono state le controversie tra studiosi circa l’ubicazione di posti come Vibonia o Vibo ad siccam ricordati in vari trattati storiografici e che probabilmente saranno stati i nomi originari di Vibonati, nonostante molte volte fosse stato fatto un riferimento per questi alla città di Vibo Valentia; fatto certo è che il primo a battezzare il paese col suo attuale nome fu l’abate lucano Giuseppe Antonini, in luogo di Bonati o Libonati come precedentemente esso veniva chiamato. Purtroppo le notizie in merito a questo argomento non sono sufficienti per poter dare una risposta esaustiva e gratificante. Possiamo solo far luce adesso su un ruolo importante che questo paesino ha rivestito per molto tempo, arrivando a comprendere nel suo comune anche piccoli altri lembi di terreno compresi fra l’ospedale di Sapri, Casalbuono e Tortorella. Possiamo ricordare adesso le “antiche glorie” di un posto cui dopo varie e diverse vicende è stato tolto un dominio non indifferente vista la pressante ricerca di autonomia anche da parte dei piccoli comuni limitrofi, come la storia testimonia che sia accaduto. Tuttavia, quella “piccola isola su di una collinetta” in cui oggi noi riconosciamo Vibonati, (soprattutto in fatto di lingua e aspetti culturali), a ben guardare è essa stessa la traccia di un passato fortunato e decoroso, in cui la propria inespugnabilità, costituiva la forma più grande in cui un popolo potesse crescere ed esprimersi. (Si ringrazia per la collaborazione Cinzia Sapienza)