Cultura

Agropoli, a fine marzo in vendita il nuovo libro di Germano Bonora


Educare comunicando per costruire il futuro, è questo il titolo del nuovo libro dello scrittore agropolese Germano Bonora edito da Gianfranco Fabbri di Forlì. Il testo, dal titolo emblematico, approfondisce e racconta le trasformazioni che ha subito negli anni la lingua italiana, trasformazioni ormai evidenti in tv, nella politica e nel modo di comunicare dei giovani.

Il testo dello scrittore agropolese, sarà disponibile nelle librerie entro la fine di Marzo, ma un assaggio l'autore ce lo concede subito con un estratto, di seguito pubblicato, dei primi due capitoli del libro:

[...]La politica degli ultimi venti anni ci offre una varietà di esempi della manipolazione semantica dei fatti. Le inchieste della magistratura sulla compravendita dei voti per far cadere Prodi o assicurare la fiducia al governo di Berlusconi passa per “ingerenza dei magistrati comunisti”. Perfino l’estinzione di un mutuo per la casa di un parlamentare dell’opposizione in cambio della fiducia a Berlusconi si camuffa per “libera dialettica parlamentare”, mentre si tratta di una grave ipotesi di reato penale, perseguibile d’ufficio, anche in assenza di denunzia, che nella fattispecie è stata presentata dal responsabile del partito di provenienza del transfuga.

Se è vero che gli eletti non hanno vincolo di mandato, non per questo sono autorizzati a mettersi a disposizione del migliore offerente. Il voto di scambio integra un reato penalmente rilevante.

Tale comportamento fino alla compravendita di parlamentari indegni si è andato diffondendo con i partiti moderni, che fanno riferimento a questo o a quel leader anziché ai programmi, giudicati del tutto pleonastici.

[...] I partiti del secolo scorso si distinguevano per le idee e l’organizzazione volta al raggiungimento di fini comuni per la conquista e l’esercizio del potere politico più che per i leader, che fungevano da segretari coordinatori del comitato direttivo, eletto democraticamente. I segretari passavano, mentre i programmi restavano, anche se suscettibili di aggiornamenti.

Da quando i partiti hanno cominciato a identificarsi con i leader, alla scomparsa di questi si eclissano anche i partiti, essendo ridotti a entità puramente nominalistiche.

Oggigiorno si considerano nuovi quei partiti rappresentati esclusivamente dai cosiddetti capi carismatici, mentre si respingono come vecchi quelli basati sui programmi e rappresentati da semplici coordinatori anziché da boss. In qualche caso è scomparso perfino il nome di partito.

Meglio un partito singolare, appiattito sul leader, che si comporta come il padrone di un’azienda, oppure un partito plurale, fatto d’idee e progetti da costruire democraticamente?

Domande retoriche e pleonastiche. Eppure ci sono certi giornalisti, intellettuali e cattedratici che criticano aspramente il PD perché non ha un leader carismatico come Berlusconi, che pure considera il PDL come un una delle sue aziende, pronto ad acquistare parlamentari in vendita per assicurarsi la fiducia nei momenti di crisi. Tra le tante doti gli è riconosciuta anche dagli avversari quella del tutto improbabile del comunicatore, soltanto perché sa disinvoltamente camuffare iltrasmettere unidirezionale del pubblicitario con il comunicarereciproco e interattivo, abusando dei media occupati militarmente e del Parlamento, dove grazie alla cosiddetta legge “porcellum” i parlamentari sono nominati dai capipartito, riducendosi al rango di cortigiani sempre disponibili ad approvare leggi ad personamche liberino il capo dai giudici comunisti magari dimezzando i tempi della prescrizione, mai rifiutata.

Quando per la prima volta, nel 1994, Berlusconi andò al governo, Indro Montanelli scrisse sulla Voce: “Oggi per instaurare un regime, non c’è più bisogno di una marcia su Roma né di un incendio del Reichstag, né di un golpe sul Palazzo d’Inverno. Bastano i cosiddetti mezzi di comunicazione di massa: e fra di essi, sovrana e irresistibile, la televisione. Il risultato è scontato: il sudario di conformismo e di menzogne che, senza bisogno di leggi speciali, calerà su questo Paese riducendolo sempre più a una telenovela di borgatari e avviandolo a un risveglio in cui siamo ben contenti di sapere che non faremo in tempo a trovarci coinvolti”. E, alla vigilia di un’altra consultazione elettorale, nel 2001, lo stesso Montanelli dichiarò in tv a Enzo Biagi: “Berlusconi, se vince, governerà senza quadrate legioni, ma con molta corruzione”.

Parole profetiche, che rappresentano la realtà di un regime consolidatosi morbidamente con la corruzione più che con l’assassinio degli avversari politici o con l’olio di ricino. Illegalità, corruzione, disprezzo delle istituzioni, della Costituzione e della magistratura sono i punti salienti di questo regime dominante dai primi anni Novanta a oggi nel nostro Paese, dove gli stupidi e i servi sono purtroppo maggioranza. Contro la stupidità, più ancora del servilismo, non c’è rimedio, come dimostrano ampiamente le dittature. Una malattia incurabile. Una sindrome nefasta per la democrazia. Tanto più grave se alla stupidità, come sovente avviene, si associa la malizia.

[...]Il virus del dominio ha contagiato anche la Chiesa cattolica, dove il male maggiore non è soltanto il marcio della pedofilia, che in verità la investe molto meno delle chiese protestanti, dove i pastori possono legittimamente contrarre matrimonio. Fra i laici, poi, gli abusi sui minori sono di gran lunga più diffusi. Essi sono giudicati più gravi se commessi dai sacerdoti per le particolari responsabilità e le funzioni specifiche.

La Chiesa, anziché essere alternativa alla cultura dominante e alla politica politicante, ne rispecchia i vizi peggiori e in particolare il predominio, che prevale sullo spirito di servizio. Inutilmente Gesù lavò i piedi agli apostoli. Di questa esemplare testimonianza resta soltanto il rito del Giovedì Santo.

Non diversa dalla Casta politica denunziata dai giornalisti Rizzo e Stella nell’omologo bestseller per Claudio Rendina è “La santa casta della Chiesa” (Newton Compton Editori, Roma del 2009).

Durante la Via Crucis del 2005, l’allora card. Ratzinger disse: “Quante volte celebriamo soltanto noi stessi, senza neanche renderci conto di lui!

Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata!

[…] Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!”.

Contro la crisi morale che dilaga in Italia e altrove si levano alte le voci di condanna sia da parte dei credenti in Dio sia da parte dei laici.

Ma il prete di Genova, don Paolo Farinella, parroco di San Torpete, non risparmia né il papa né il segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, “che ormai si è completamente venduto al berlusconismo più osceno.

[…] Invece di stare dalla parte dei giusti, avete scelto di immergervi nella sentina e di rinnegare la vostra stessa morale: quella che esige il perseguimento del bene comune, che condanna il ladrocinio, la corruzione, la bestemmia, la bugia e lo spergiuro. Avete inventato anche labestemmia con contesto per non censurare un uomo che ha avvelenato un intero Paese con la sua violenza verbale, politica ed economica e con la sua immoralità. Ecco l’uomo del partito dell’amore! Ha emanato trentanove leggi private e immorali e voi avete taciuto!

Lei non ha parlato quando il suo protetto si sollazzava vantandosi con le minorenni; ha taciuto quando ha inaugurato il metodo Boffo; non ha visto quando ha trasformato le sue ville in sedi istituzionali con decreto della Presidenza del Consiglio, adibendole a lupanari con prostitute a pagamento, signorine e signore che si offrivano in cambio di posti in Parlamento o in tv […]

Lei non tralascia occasione per parlare di principi non negoziabili; dov’era quando tutti i principi su cui si basa la moralità pubblica e cristiana sono stati vilipesi, calpestati, derisi, violentati da un uomo che definire perverso è fargli un complimento? Dov’era lei, quando costui inoculava il virus dell’egoismo individualista, distruggendo il patrimonio solidale e cooperativistico che è la forza del nostro popolo? Dov’era quando inneggiava all’evasione fiscale, al disprezzo delle istituzioni e varava leggi contro il diritto internazionale, contro i poveri immigrati, immagine sanguinante di Cristo crocifisso? Dov’era quando legiferava contro i lavoratori e aumentava scientemente i precari e i disoccupati per manovrarli e costringerli a rinnegare il contratto nazionale del lavoro? Dov’era quando trasferiva alle scuole cattoliche i soldi dei furti e dell’evasione fiscale, della mafia e della prostituzione, della droga e del riciclaggio (vedi scudo fiscale)?”.

Dopo gli addebiti al segretario di Stato Bertone, l’anziano parroco di San Torpete attacca pesantemente anche il papa: “Lei e il Vaticano avete perso il diritto di parlare di morale, perché siete solo complici d’immoralità e sostegno di un’indecenza che spadroneggia sull’Italia e sequestra il Parlamento rendendolo un prostribolo di infima categoria, dove si consuma la prostituzione a basso costo, senza preservativo. Non è il metodo che piace a voi?

Noi non ci stiamo e vi riteniamo responsabili della caduta etica dell’Italia, del dissesto democratico e della corruttela berlusconista che voi appoggiate e condividete ormai apertamente. Per questo riteniamo che non abbiate più l’autorità di parlare di etica e tanto meno di Dio e del Vangelo che avete rinnegato per assidervi a mensa con il corruttore più immorale della terra, vanitoso e vanaglorioso, pago del vostro silenzio colpevole.

Vi preghiamo di ritornare a essere pastori degni del vostro popolo, altrimenti valgono per voi le parole di Ezechiele profeta: Guai ai pastori d’Israele, che pascono se stessi! Per colpa del pastore si sono disperse le mie pecore e sono preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate. Così di ce il Signore Dio: Eccomi contro i pastori: a loro chiederò conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così non pasceranno più se stessi, ma strapperò loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pasto” (Ez 34,2.5,6.10).

Nel nome del vostro popolo, vescovi e cardinali, tornate al Vangelo e al vostro popolo, da cui vi siete separati per ingordi interessi, peccando e delinquendo con chi della delinquenza e della falsità eretta a metodo, ha fatto un sistema perverso di potere e di governo.

Noi riteniamo che se perseguite in questa orgia di scambio immorale, non potete più celebrare l’Eucaristia con buona e retta coscienza. Se lo fate, commettete sacrilegio”.

Queste parole di fuoco, che evocano quelle del domenicano Savonarola, fanno parte della lettera ai fedeli, datata 17 dicembre 2010, dal titolo “Appello al cardinale Angelo Bagnasco perché receda dall’insana scelta di sostenere un governo immorale”.

La Chiesa dedicherà i prossimi dieci anni all’educazione della famiglia e della società civile nella progettazione del futuro. Una buona occasione per approfondire il tema anche dal punto di vista dei laici.

Don Andrea Gallo, animatore della comunità genovese di san Benedetto del Porto, dopo che la Procura di Milano, nello scorso gennaio, ha indagato Berlusconi per concussione e prostituzione minorile, in una intervista a il Fatto Quotidiano ha detto di essere rimasto deluso del papa più dello stesso premier: “…Alla Chiesa non importa più nulla dei poveri e dei deboli. Vive di privilegi, vuole difenderli e ne vuole conquistare di nuovi… Basti pensare all’otto per mille o ai contributi alle scuole cattoliche, che poi di cattolico non hanno proprio nulla. C’è anche l’esenzione fiscale sugli immobili della Chiesa, che non pagano l’ICI…”.

[...] Roberta De Monticelli ha pubblicato alla fine del 2010 da Cortina editore il libro “La questione morale”, dove riafferma il primato della morale, da cui dipendono tutte le altre dimensioni: politica, religiosa, economica, scientifica e teoretica. L’autrice del saggio contesta in particolare “l’interesse affaristico che si fa partito e prostituisce il nome di libertà”. Contro lo scetticismo pratico riafferma la centralità della questione morale, che è strettamente legata alla logica: “Alla base della logica c’è l’etica … alla base dell’etica c’è la logica”.

Come tra etica e logica esiste un legame imprescindibile, così pure tra le prime due e la politica. Non è affatto vero che il fine giustifica i mezzi. Né Machiavelli ha fatto mai tale affermazione.

[...] Nell’anno del centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia, il Paese non è stato mai così tanto lacerato. La divisione si è acuita anche a causa della crisi economica che ha investito tutto il mondo industriale.

Alla Lega Nord, che si batte per l’indipendenza (non solo) fiscale della cosiddetta Padania, si contrappongono le Leghe Meridionali, presenti ormai in diverse zone del Sud, di cui la più agguerrita sembra quella sorta per prima in Sicilia.

Parafrasando Sciascia, che, facendo di tutt’erbe un fascio, stigmatizzava i “professionisti dell’antimafia”, Michele Serra parla ora dei “professionisti del federalismo”, ai quali si deve la fortuna della Lega Nord, il cui cavallo di battaglia è, a parole, il federalismo fiscale della cosiddetta Padania, mentre si comportano come tutti i politicanti, preoccupati dal lucro personale, che il Dolci liquidava sprezzantemente come politicheria.

A proposito di Sciascia, voglio ricordare un episodio eloquente che riguarda molto da vicino lo scrittore “illuminista” siciliano.

 Quando Danilo Dolci e Franco Alasia si recarono a Roma per denunziare in un’apposita conferenza stampa i politici siciliani collusi con la mafia, lo scrittore radicale, che pure conosceva bene quei politicanti mafiosi, si rifiutò coraggiosamente di seguire i due “delatori”, incuranti del processo penale e della condanna pressoché scontata per chi osa denunziare la mafiosità di quei politicanti a tutti noti in Sicilia, Leonardo Sciascia compreso.

Si condanna, come al solito,  più facilmente chi denunzia i reati anche di mafia che non chi li commette. Ora come allora.

Il bipolarismo ha fallito alle attese. Gli studenti non si riconoscono più in nessuno degli schieramenti politici. Hanno messo in piedi un loro movimento autonomo dai partiti denominato “popolo viola”. Che in qualche manifestazione ha fatto registrare anche qualche episodio di violenza, da cui gli studenti non si sono affatto dissociati, pur non essendone loro gli autori, dal momento che alla grande manifestazione del 14 dicembre hanno partecipato non pochi precari, disoccupati, cittadini dell’Aquila, di Napoli e dei centri vicini, invasi dalla monnezza.

Per questo motivo si paventa il ritorno degli anni di piombo.

I giovani non si fidano più dei politici, che cadono nel ridicolo quando si spacciano per giovani o avversi ai politici di professione, pur facendo politica dai primi anni Novanta.

Le divisioni e le incomprensioni aggravano ulteriormente l’incomunicabilità generazionale tra vecchi e giovani con gravi conseguenze anche nel lessico, sempre più povero e stentato. E, dove fa difetto il comunicare, la violenza cresce come la gramigna.
                                                                          

 

 

 Lamanomissione delle parole”.

  “La manomissione delle parole” è il titolo del libro, nel quale Carofiglio mette in stretta correlazione le parole con il grado di democrazia esistente in un Paese. La democrazia e la libertà sono tanto più ampie e attive quanto più ricche e appropriate la qualità e la pluralità del lessico usato dai cittadini.

La democrazia degenera in regime dispotico quando nel linguaggio parlato si usano frasi fatte o slogan pubblicitari. La pubblicità, che si usa paradossalmente definire “l’anima del commercio”, è da considerarsi una forma di violenza tanto più subdola quanto più sofisticata e subliminale. Non a caso i cosiddetti consigli per gli acquisti strumentalizzano la sessualità femminile. a danno della donna, la prima vittima dei regimi totalitari, rossi o neri.

Carofiglio cita una frase in cui il poeta greco Ghianis Ritsos afferma che le parole sono come le prostitute, abusate spesso e male. Tocca, perciò, al poeta, il creativo per eccellenza, restituire alle parole la verginità perduta.

Gustavo Zagrebelsky nel saggio “Sulla libertà del tempo presente”, pubblicato da Einaudi nel 2010, parla di omologazione linguistica, imposta dalla casta politica tramite i media, che definisce impropriamente “mezzi di comunicazione di massa”. Danilo Dolci afferma che la comunicazione di massa non esiste, che è anche il titolo di un suo libro uscito dall’editore L’Argonauta di Latina, nel 1987, due anni prima della “Bozza di MANIFESTO - dal trasmettere al comunicare”, uscito a Torino dalle Edizioni Sonda del Gruppo Abele di don Luigi Ciotti nel 1989.

La lingua del nostro tempo, dunque, si è andata omologando a causa del virus del dominio inoculato dai media, concentrati nelle mani di uno solo o di pochi, per meglio manipolare la gente da ridurre a massa amorfa, facile da manovrare su scala nazionale e globale. Omologazione della lingua e globalizzazione dei mercati (che contagiano la politica) procedono di pari passo, anzi sono le due facce della stessa medaglia., come ci ha dimostrato a metà gennaio del 2010 il referendum imposto da Marchionne ai dipendenti di Mirafiori.

Zagrebelsky, che un giurista e non un filologo, semmai un politologo, tocca anche il tema della nuova concezione della politica, che rinunzia all’ideologia per adattarsi a un capo carismatico, un concetto squisitamente religioso, fino a confondere la religione con la politica, per conferire maggiore autorità al grande capo disceso dall’alto. La politica non viene più dal basso, ma cade dal cielo, come nel ventennio con Benito Mussolini, che un noto pontefice battezzò come “l’Uomo della Provvidenza”.

Non a caso Berlusconi parla di discesa in campo. E nel maggiore partito di opposizione s’invoca addirittura l’arrivo di “un papa straniero” per risolvere la crisi che da anni lo paralizza. Religione e politica sono una cosa sola, a destra come a sinistra.

 Silvio Berlusconi si è autoproclamato “l’Unto del Signore”, un attributo che evoca l’integralismo della mistica fascista. Oltre a essere attributo blasfemo. Con buona pace del papa e delle alte gerarchie ecclesiastiche, che non solo lo sostengono in cambio di favori terreni, ma gli perdonano perfino la bestemmia, “da contestualizzare”.

A onore del vero c’è da dire che L’Avvenire d’Italia, a proposito della Scuola di Mistica Fascista, il 9 aprile del 1939, contestò la mistificazione di sacro e profano, raccomandando: “Un po’ di modestia - di grazia - e di proprietà. La mistica ai santi: e i problemi stradali ai galantuomini che, come noi, faticano in umiltà, senza toghe rettoriche e senza attribuzioni celesti”.

[...] Il processo di manipolazione delle parole mira a stravolgere l’informazione e anche la politica, che dovrebbe essere la branca nobile della filosofia e garantire lo spirito di servizio civico nell’amministrazione del Paese.

Lo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa, Nobel per la letteratura, alla fine degli anni Ottanta, dopo l’invasione di Praga abbandonò il socialismo per approdare a un movimento liberale e candidarsi alla presidenza del suo Paese contro Alan Garcia, che lo batté instaurando un lungo regime autoritario e populista, per questo motivo abbandonò il Perù e si stabilì a Madrid. In un’intervista al Venerdì diRepubblica (3 dicembre 2010) afferma di essere stato profondamente deluso dalla politica, che abbandona per tornare alla letteratura: “Per me, scrittore, tutto ciò era angosciante: il linguaggio si convertiva in forme stereotipate, luoghi comuni, cliché. Infatti, per arrivare al maggior numero di persone, la parola politica deve per forza ripetersi, banalizzarsi […] Ritengo che la lotta per il potere tragga il peggio dell’uomo. Vivere una campagna elettorale è atroce. […] Adesso faccio politica come scrittore, ma non sarò mai più un uomo politico”.

La delusione dell’esperienza politica lo porta a condannare la politica anche per la decadenza culturale, registrata non soltanto in Perù ma anche in altri Paesi, dove si vanno affermando regimi autoritari e populistici: “Mi fa molta tristezza che l’Italia abbia un presidente del Consiglio come Berlusconi. Prima che per ragioni politiche, lo dico per ragioni culturali. Credo che l’Italia non si meriti una persona come Berlusconi. Ma la cosa terribile è che lo hanno scelto gli Italiani. Questo dimostra che la cultura non riesce a difendere la società contro la demagogia. Certo, quando gli elettori scelsero il Cavaliere, dovevano esserci stati molti errori della sinistra. Ciò detto, Berlusconi rappresenta la negazione della politica come ideale, come principio, come rispetto delle forme. Tutto è ridotto a intrigo e manovra. E quando si perde la forma, accade qualcosa di tremendo: questo gli scrittori lo sanno meglio degli altri. Quando si perde la forma, il risultato è molto deprimente, anche in politica”.

Se al posto della forma (che in latino significa appunto bell’aspetto, bellezza) mettiamo la bellezza e la cultura, il concetto dello scrittore diventa più chiaro e condivisibile, e la politica riacquista una dimensione assimilabile all’etica e all’estetica, che nei grandi scrittori, e in particolare nei poeti, coincidono.

Un esempio di manipolazione delle parole, fino a rovesciarne il senso originario, è la frase “datore di lavoro”, con la quale si definiscono gli imprenditori, che di fatto sono i “prenditori, gli utilizzatori del lavoro altrui”, dal momento che i veri “datori del lavoro” sono gli operai, i braccianti e i prestatori d’opera in generale.

 Cresce così la forza contrattuale del capitale fino a condizionare la politica a danno degli operai e dei sindacati, che risultano sempre meno rappresentativi e divisi tra di loro a opera del virus del dominio, che va sempre più diffondendosi su scala globale, a scapito della classe operaia e della stessa democrazia.

Contro il virus di dominio c’è la legislazione, che costituisce il più sicuro baluardo della libertà. Tanto più in un regime repubblicano, dove tutti i cittadini sono uguali davanti alle leggi. Questo il nodo essenziale del saggio di Maurizio Viroli dal titolo emblematico “La libertà dei servi” (Gius. Laterza & Figli, prima edizione giugno 2010.)

Fin dalla Premessadel saggio l’autore distingue la libertà dei servi-sudditi da quella dei cittadini o repubblicani. La libertà dei servi o dei sudditi consiste nel fatto di non essere ostacolati nel perseguimento dei propri fini; la libertà dei cittadini, o repubblicani non consiste soltanto nel non essere ostacolati o oppressi, ma nel non essere dominati, ovvero non essere sottoposti al potere arbitrario o enorme di un altro uomo o di altri uomini. Anche se il potere arbitrario o enorme si è affermato con metodi legittimi e opera per il bene dei sudditi, la sua stessa esistenza rende i cittadini servi.

[...] La pubblicità alimenta il consumismo, suscitando il bisogno del superfluo negli spettatori più sprovveduti e incolti, che comprano di tutto e di più, indipendentemente dalle necessità reali, come dimostra lo spreco di cibo, che potrebbe sfamare milioni di indigenti del cosiddetto terzo mondo. Senza dire degli indumenti e delle suppellettili ingombranti, di cui poi occorre disfarsi per ricuperare lo spazio necessario alla vita familiare.

Di qui il senso del processo indicato dalla voce entropia, che attiene non soltanto ai consumi che ci sommergono ma anche alla teoria dell’informazione, che comprende tutto quanto è d’impedimento alla chiarezza e univocità del messaggio. Quanto maggiore è l’entropia, tanto minore è l’informazione. Quanto più il popolo è ignorante, tanto più forte è il dominio. Che è la malattia del potere.

Molti giornalisti e anche scrittori usano la voce potere in senso negativo, confondendola arbitrariamente con il dominio.

Il potere, come possibilità operativa, spetta a ciascun individuo per diritto naturale, che ovviamente cessa là dove inizia il diritto dell’altro; per tale motivo non dovrà essere mai invasivo né impositivo su quello altrui.

La voce potere è talmente abusata da identificarsi impropriamente con il governo in carica o con la governance, cioè il complesso di regole e strategie che stanno alla guida di un’azienda o di uno Stato. E così la parola potere si carica di un significato improprio, del tutto negativo per alcuni e positivo invece per quanti lo detengono “per investitura popolare”, assimilata a quella divina della monarchia assoluta dell’ancien régime, prima dell’illuminismo e della rivoluzione francese.

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