Chiuse le indagini sulla presunta maxi-truffa contestata dalla Procura della Repubblica di Vallo della Lucania: 33 persone e 6 aziende sono indagate per aver messo in atto un complesso schema per ottenere indebitamente il bonus facciate, per un valore complessivo di 12 milioni di euro.
L’operazione, denominata “Facciate d’oro”, è stata condotta dalla Guardia di Finanza di Agropoli, guidata dal Capitano Alessandro Brongo.
Le accuse
Le accuse mosse dal sostituto procuratore Antonio Pizzi sono pesanti: truffa aggravata, sia tentata che consumata, finalizzata all’ottenimento di erogazioni pubbliche e alla creazione di crediti d’imposta fittizi per lavori edili mai realizzati tra il 2021 e il 2022.
Tra i principali indagati l’imprenditore agropolese Concordio Malandrino, attualmente all’estero. Due degli indagati sono ritenuti suoi prestanome o soci occulti.
Inoltre, emerge il coinvolgimento di ben tre parroci, responsabili di chiese e conventi nel Cilento, che avrebbero dichiarato falsi lavori di restauro di beni ecclesiastici per un importo complessivo di 5,7 milioni di euro.
Le Fiamme Gialle di Agropoli in fase di indagine avevano già provveduto al sequestro preventivo di conti correnti, autovetture e immobili per un valore di 2,5 milioni di euro. Inoltre, è stato bloccato il giro di crediti d’imposta per un valore di oltre 10 milioni di euro.
Le indagini
L’indagine è partita da alcune anomalie riscontrate presso una società di consulenza di recente costituzione. Nonostante fosse priva di qualsiasi requisito per svolgere attività edilizie, la stessa avrebbe iniziato a generare crediti d’imposta per oltre 12 milioni di euro, senza effettuare alcun lavoro reale.
Per gli inquirenti la documentazione per accedere al bonus facciate, con opzione sconto in fattura e cessione del credito, sarebbe stata falsificata con la complicità di ingegneri e geometri compiacenti, nonché con la consapevole partecipazione dei committenti dei lavori, tutti indagati.
Gli indagati dovranno presentare memorie difensive o farsi interrogare dal pubblico ministero, che deciderà se richiedere il rinvio a giudizio o l’archiviazione delle accuse.