La chiusura delle indagini sull’omicidio di Angelo Vassallo, preceduto dalla conferma delle misure cautelari per gli indagati attualmente sottoposti a detenzione, testimonia la gravità delle accuse della procura di Salerno e al contempo che gli elementi acquisiti hanno basi solide.
Le accuse
Per i magistrati salernitani il delitto Vassallo è stato premeditato. Diversi sopralluoghi permisero di individuare il punto dove sarebbe dovuta avvenire l’esecuzione, il giorno, l’ora e le modalità.
L’attentatore avrebbe teso un’imboscata, come parve chiaro già al momento del ritrovamento del cadavere.
Angelo Vassallo stava rientrando a casa, qualcuno lo ha fermato. Probabilmente il sindaco pescatore conosceva il suo assassino perché ha abbassato il finestrino lato guida e a quel punto sarebbe partita la scarica di proiettili.
Il depistaggio
I principali indagati, il colonnello Fabio Cagnazzo, l’attendente Lazzaro Cioffi, l’imprenditore Giuseppe Cipriano e il boss Romolo Ridosso avrebbero orchestrato il tutto.
Il militare, poi, avrebbe messo in piedi i tentativi di depistaggio verso “O Brasiliano”, Bruno Humberto Damiani, accusato di spaccio di droga in zona, ma anche su una pista passionale relativa ad una presunta relazione extraconiugale del primo cittadino. Se quest’ultima ipotesi fu subito scartata, Damiani venne indagato, arrestato in Colombia e infine estradato.
Ben presto, però, la pista si rivelò priva di fondamento. La Procura di Salerno sembrava brancolare nel buio: nel 2012 fu disposto il test del Dna su 66 persone poi divenute 94. Ma in realtà il lavoro non si è mai fermato, è proseguito in silenzio e con la massima discrezione. Un anno dopo ecco che il colonnello Cagnazzo finisce nelle indagini. A portare la questione alla ribalta è la trasmissione Le Iene che si occupa di lui e del presunto coinvolgimento di altri carabinieri nell’omicidio.
La svolta
Poi la svolta: un pentito di camorra parla dei traffici di droga fiorenti nella piazza di Acciaroli. A quel punto arrivano le dichiarazioni di Ridosso e il cerchio si stringe. Oggi, oltre ai quattro arrestati cui è contestato anche il vincolo associativo, sono finiti nelle indagini per il filone dello spaccio di droga pure i fratelli Domenico, Federico e Giovanni Palladino e Giovanni Cafiero, boss del napoletano.
Ora potrebbe aprirsi il processo, dopo quindici anni dall’omicidio, con le indagini che ad un certo punto rischiavano addirittura di essere archiviate.