La storia di Heinz Skall, l’orrore della Shoah e l’amore trovato a Sala Consilina

La storia di Heinz Skall, ebreo internato nel campo di concentramento di Campagna e del suo amore con Rita

Di Erminio Cioffi

“Quando si assiste ad una ingiustizia, ad atti violenti, siano essi fisici o verbali, non bisogna farseli scivolare addosso, ma prendere una posizione contro chi li compie. Solo in questo modo l’odio può essere sconfitto”.
Trovare l’amore anche nel momento più difficile della vita, condividendo con centinaia di persone l’orrore delle deportazioni.
Heinz Skall era un ebreo di origine cecoslovacca e dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali nel 1938, fu internato a Campagna e poi confinato a Sala Consilina. Dopo la guerra, sposò la donna che aveva conosciuto a Sala Consilina e ebbero due figlie.

La storia

La figlia minore, Anna Skall, ha portato la sua significativa testimonianza nella conversazione con gli studenti delle scuole superiori del Vallo di Diano.

Heinrich Skall – detto Heinz – era ebreo, nato a Vienna alla fine del 1914, viveva a Bologna dove si era laureato in economia e dove lavorava prima di perdere l’impiego dopo l’emanazione delle leggi razziali. Il 20 giugno del 1940 venne arrestato e dopo circa quindici giorni caricato con altri ebrei su un treno.

La testimonianza

«Furono giorni tremendi per mio padre», racconta Anna. «Soprattutto quando salì sul treno, non sapendo dove sarebbe andato. Era consapevole del fatto che se si fosse diretto verso Nord per lui quasi sicuramente sarebbe stata la fine. Quel treno però si diresse verso Sud e si fermò ad Eboli dove, insieme ad altri compagni, fu caricato su un autobus e portato a Campagna, dove c’erano due campi di concentramento, lui fu rinchiuso in quello del Convento di San Bartolomeo».

Heinz Skall una volta nel campo si trovò in compagnia di moltissimi ebrei provenienti da tutta Europa. Le camerate in cui vivevano non avevano l’acqua corrente, i bagni erano senza porte e per fare la doccia bisognava andare in cortile.

La vita nel campo di concentramento

Heinz non si perde d’animo e trova la forza per andare avanti e superare quei momenti attraverso le lettere che scriveva ai suoi genitori. Lettere che sono documenti importantissimi perché sono una fotografia di quella che era la vita nel campo di concentramento di Campagna.

Al mattino si faceva ginnastica, di tanto in tanto una partita di calcio contro la squadra dei secondini e qualche volta venivano messi in scena anche degli spettacoli teatrali in cui lui recitava.

«Gli internati – continua la figlia – potevano passeggiare per il paese senza superare delle linee che segnavano il limite consentito e quelli che avevano maggiori possibilità economiche potevano abitare in case private. Mio padre fece amicizia con gli abitanti del paese, assolutamente privi di pregiudizi e soprattutto con il vescovo Giuseppe Palatucci che a Campagna cercava in ogni modo di aiutare gli ebrei».

L’amore

Nella primavera del 1941, a causa di una grave tromboflebite ad una gamba che gli creò gravi problemi di deambulazione, gli fu consentito – per potersi curare meglio – di essere trasferito a Sala Consilina. Qui arrivò nel mese di novembre dello stesso anno.

A Sala Consilina Heinz conobbe Rita Cairone, insegnante di tedesco arrivata dal Nord Italia per svolgere il suo primo incarico: si conobbero a novembre nel Palazzo Amodio dove entrambi alloggiavano e il loro amore, nonostante mille peripezie, non ebbe mai fine.

«Sono stati anni terribili – conclude Anna -. Mi auguro che la mia testimonianza possa aver lasciato qualcosa in chi mi ha ascoltato. Viviamo tempi in cui l’odio pervade tutti i settori della società e ad alimentarlo spesso è l’indifferenza».

«Quello che vorrei e che dico sempre, soprattutto ai ragazzi, è di non essere indifferenti ma di prendere una posizione. Quando si assiste ad una ingiustizia, ad atti violenti, siano essi fisici o verbali, non bisogna farseli scivolare addosso. Bisogna prendere una posizione contro chi li compie. – conclude – Solo in questo modo l’odio può essere sconfitto».

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