Inchiesta Febbre oro nero: saranno ascoltati 8 collaboratori di giustizia

L'inchiesta Febbre oro Nero ha fatto venire a galla la presenza nel Vallo di Diano di esponenti del clan dei Casalesi

Di Erminio Cioffi

Otto collaboratori di giustizia saranno ascoltati in modalità protetta in videoconferenza nel corso della prossima udienza del processo penale scaturito dall’inchiesta “Febbre dell’oro nero”. Coinvolti 53 imputati accusati a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di frodi in materia di accise ed IVA sugli olii minerali, intestazione fittizia di beni e società, riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro di provenienza illecita.

Febbre dell’oro nero, l’udienza

Nel corso dell’udienza, svoltasi ieri nell’aula bunker del carcere di Fuorni, inoltre, è stata sciolta anche la riserva sull’utilizzabilità delle intercettazioni. La corte ha deciso che potranno essere tutte utilizzate nel processo e nel corso della prossima udienza, fissata per il 30 marzo, verrà conferito l’incarico ad un consulente che dovrà procedere alla trascrizione delle stesse.

L’inchiesta

L’inchiesta è stata condotta dalle Direzioni Distrettuali Antimafia di Potenza e di Lecce. Ha fatto venire alla luce la presenza nel Vallo di Diano di alcuni esponenti del clan camorristico dei Casalesi che utilizzavano il petrolio come cavallo di troia per colonizzare il comprensorio.

Ciò grazie anche alla complicità di un imprenditore del posto e di un carabiniere corrotto. Il carburante per uso agricolo, che beneficia di particolari agevolazioni fiscali, veniva venduto a soggetti che poi lo immettevano nel normale mercato per autotrazione, utilizzando spesso le cosiddette “pompe bianche”.

Un traffico illecito ha portato anche guadagni all’organizzazione criminale di 30 milioni di euro annui.

L’operazione della DDA

L’operazione della DDA lo scorso aprile ha portato all’esecuzione di 30 misure cautelari personali ed al sequestro di immobili, aziende, depositi, flotte di auto-articolati per un valore complessivo di circa 50 milioni di euro.

Buona parte delle persone coinvolte è residente in provincia di Salerno. Ad essere coinvolti nell’inchiesta oltre al clan dei Casalesi ci sono anche clan mafiosi di Taranto ed in particolar modo il clan Catapano Leone.

Questi avevano scelto il Vallo di Diano come centro nevralgico del contrabbando di idrocarburi. I tarantini fornivano ai “soci” attivi nel Vallo di Diano un elenco di nominativi di imprenditori agricoli che erano all’oscuro di tutto le cui identità fiscali e i libretti UMA venivano clonate.

In questo modo le imprese legate ai Casalesi potevano fatturare fittiziamente la vendita del carburante per uso agricolo agli imprenditori che avevano subito il furto dell’identità fiscale. In realtà il prodotto veniva venduto in nero a operatori economici che lo immettevano fraudolentemente nel mercato per autotrazione. Ciò portava a guadagni di circa il 50% sul costo effettivo di ogni litro di benzina e nafta venduti.

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