Ieri pomeriggio, il secondo uomo coinvolto nell’inchiesta sul presunto rapimento simulato a Padula si è costituito. Si tratta di un trentenne di Buonabitacolo, assistito dagli avvocati Nicola Colucci e Paolo La Manna, il quale si trovava in Irpinia senza essere a conoscenza del provvedimento cautelare emesso nei suoi confronti. Dopo essere stato contattato telefonicamente dai suoi legali, ha deciso di recarsi nel carcere più vicino.
Finto rapimento a Padula, il caso
Si tratta del secondo uomo, che era ricercato, che sarebbe coinvolto nel finto rapimento che sarebbe stato messo in scena da un 42enne di Padula per estorcere 500 mila euro alla sorella e al marito, noto imprenditore valdianese, residente a Parma. Il 42enne di Padula, su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia di Potenza, è stato tratto in arresto dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Salerno. Sono in corso di identificazione altri presunti complici. L’operazione scaturisce da un’accurata indagine condotta tramite intercettazioni, audizioni di persone informate sui fatti, perquisizioni e analisi di tabulati e smartphone, coordinata dalla DDA di Potenza.
Da quanto emerso dalle indagini, gli indagati avrebbero messo in scena un falso rapimento a fine estorsivo alla fine di novembre 2023, con l’intento di ottenere un ingiusto profitto economico a danno dei familiari del 42enne padulese.
Specificamente, le prove raccolte — tra cui testimonianze, messaggi e intercettazioni — rivelano il 42enne, il giorno della sua presunta cattura, avrebbe finto di essere in procinto di incontrare, nei pressi di Padula, dei membri del clan dei casalesi, che aveva affermato di voler dissuadere dall’intenzione di sequestrare i suoi figli. In una telefonata successiva, l’uomo di Padula, durante il simulato incontro con i presunti malviventi, avrebbe chiesto alla sorella di allertare le forze dell’ordine, temendo per la sua incolumità a causa del numero di persone presenti, del loro atteggiamento e delle modalità con cui lo stavano avvicinando.
Successivamente, gli indagati avrebbero inscenato il sequestro abbandonando l’auto dell’uomo di Padula in aperta campagna, con i fari accesi e i cellulari all’interno. Per otto giorni, avrebbero quindi finto uno stato di prigionia di Marotta in un luogo sconosciuto, contattando ripetutamente la moglie e la sorella, nel tentativo di costringerli a pagare un riscatto di 500mila euro. Tuttavia, il piano non ha avuto successo.