Il 53% delle preferenze contro il 46% dello sfidante Italo Voza: questo l’esito del ballottaggio del giugno 2019 che portò Franco Alfieri, con 6221 voti, a essere eletto per la prima volta sindaco di Capaccio Paestum. Un risultato significativo, ancor di più se letto insieme al dato del primo turno, nel quale Alfieri riuscì quasi a doppiare gli sfidanti con 6459 voti, pari al 47,59% delle preferenze, rispetto al 27% di Italo Voza (3686 voti) e al 25,4% di Vincenzo Sica (3457 voti).
Il focus della Procura
Secondo gli inquirenti, il risultato elettorale potrebbe essere stato influenzato da un accordo con Roberto Squecco, condannato in via definitiva per associazione per delinquere di tipo mafioso e considerato “esponente dell’ala imprenditoriale del clan Marandino”.
L’accordo elettorale
Squecco avrebbe chiesto4, di salvare il lido Kennedy dall’abbattimento in cambio del sostegno elettorale.
Sarebbe stato lui ad allestire l’ottava lista a sostegno del candidato primo cittadino. Una lista che poi ottenne ben 865 voti. Un numero importante tanto che, come scrive il gip Annamaria Ferraiolo nella sua ordinanza, riuscì ad «assumere un ruolo decisivo per l’elezione del sindaco» e permise alla moglie di Squecco, Stefania Nobili di diventare capogruppo di maggioranza. In una conversazione agli atti dell’inchiesta, Squecco disse: «Io a questo signore io l’ho fatto eleggere, io l’ho portato qua, aveva fallito ad Agropoli, io l’ho preso da là e l’ho portato qua».
Celebre, all’indomani delle elezioni, fu poi la contestata sfilata di ambulanze, che sarebbe promossa proprio da Roberto Squecco, per celebrare il risultato.
Le minacce e l’ipotesi di un attentato
Alfieri, tuttavia, sarebbe stato anche vittima di questo presunto accordo elettorale, poiché l’iter per l’abbattimento della struttura non venne fermato. Tramite Antonio Bernardi, agente di polizia municipale e già candidato sindaco, e Michele Pecora, dipendente comunale, Alfieri avrebbe ricevuto minacce esplicite rivolte dallo Squecco e avrebbe rischiato addirittura un attentato, commissionato a tre soggetti di Baronissi (Antonio Cosentino e Domenico De Cesare con il figlio Vincenzo). «Lo dovete uccidere, scannare, legare ad una macchina». Queste le parole di Squecco emerse in un’altra intercettazione.
L’obiettivo era un attentato dinamitardo, una bomba sotto la sua auto, senza il politico a bordo, perché il committente voleva di costringere Alfieri a dirgli: «Robè ma che mi sta succedendo…». Qualcuno propose addirittura di accoltellarlo, Squecco disse di no. Venne organizzato un sopralluogo nei pressi del distributore di benzina ad Agropoli dove Alfieri ogni mattina, uscito da casa da Torchiara, parcheggiava la sua auto per incontrare amici, politici, imprenditori. L’accordo economico venne raggiunto ma, sul lungo termine, non si concretizzò. «I primi soldi che incasso sono i vostri» disse Squecco. Ma quell’incertezza nei pagamenti non convinse i baronissesi e l’attentato saltò.
La posizione di Maria Rosaria Picariello
Tra gli arrestati figura pure Maria Rosaria Picariello, la più votata nel 2024 con 1179 voti (elezioni su cui non risultano contestazioni). Picariello, secondo gli inquirenti, sarebbe stata a conoscenza delle minacce ad Alfieri. Tuttavia, le viene contestato il reato di favoreggiamento per aver fornito dichiarazioni mendaci e omissive alla Polizia Giudiziaria, aiutando Squecco, Bernardi e Pecora a eludere le indagini.