Alla Campania ancora maglia nera assoluta per parti cesarei. Lo sottolinea lo stesso Presidente della Regione, Vincenzo De Luca che, come è solito fare, soprattutto quando la regione che rappresenta si espone al giudizio pubblico, inquadra assai negativamente e con sdegno una gestione squilibrata: “ci sono strutture delinquenziali, al primo parto, parto cesareo, stiamo facendo una battaglia in molte strutture dove questa soglia è intollerabile”.
Maglia nera per parti
A Roccagloriosa non solo per inaugurare il rifacimento del primo lotto della Condotta del Faraone, ma anche per stilare una lista di interventi ed iniziative già messe in campo per il Cilento, dalle infrastrutture al turismo, fino all’impegno profuso, nonostante le diffide del Ministero della Salute, circa l’ostinazione a mantenere aperti alcuni punti nascita, fra questi Sapri, già in deroga dal 2018, fuori dall’alveo della normativa vigente.
E proprio in riferimento alle richieste e proteste dei sindaci del Basso Cilento, “rei” di ostinarsi alla tenuta in vita di ciò che di fatto, sulla carta, è già morto, ma soprattutto non rispondente ai livelli di sicurezza (se la pratica dei parti rimane al di sotto dei duecento annuali, secondo quanto affermato, non possono essere garantiti standard elevati di professionalità e sicurezza, facilmente attaccabili, in caso dell’irreparabile, in sede giudiziaria) che il Presidente De Luca affonda su ciò che definisce una vergogna, certamente un orribile vessillo: alla Campania, la maglia nera assoluta per parti cesarei a livello nazionale.
Cosa ancor più grave, tanto che lo ripete più volte, i tagli cesarei si registrano in crescita nelle primipare, cioè, i parti medicalizzati vengono preferiti a quelli naturali anche per le donne alla prima gravidanza al termine. Si arriva, così, in alcune strutture, a punte del 90% di parti cesarei, quando la media nazionale, imposta dal Ministero della Salute e condivisa dalle direttive europee, dovrebbe mantenersi su di un trend del 24-25%.
Perché tanti cesarei
Secondo alcuni studi, fra questi un’inchiesta di Avvenire, la tendenza alla medicalizzazione del parto s’inserisce in un contesto meramente di convenienza economica: il cesareo è un intervento, dunque il suo costo per il Servizio Sanitario Nazionale (SSNN) supera i mille euro, del 30-40% quello di un naturale. A questi si aggiungono i costi dell’ospedalizzazione, solitamente cinque giorni di degenza contro i due-tre previsti per i parti naturali, le spese farmaceutiche.
L’insieme delle cose alimenta una spesa sanitaria già fuori controllo e per la quale, secondo il presidente De Luca, “non c’è più un euro, quanto stanziato dal Governo Centrale basta appena a pagare le utenze, una situazione drammatica”. Non è però solo una questione di costi, i parti cesarei, che devono discendere da una serie di valutazioni cliniche e scongiurare dei rischi oggettivi, sottendono comunque una percentuale di rischio, sia per la madre che per il bambino.
Eppure, il ricorso alla medicalizzazione non accenna a contenersi. Da oltre venti anni, la Campania, la cui Sanità già viene da un commissariamento, continua a rimanere in testa alle classifiche dell’intollerabile. Una situazione che rischia di alimentare il già enorme deficit ed il successivo tracollo economico della sanità regionale se, come teme il presidente De Luca, dovesse passare l’attuale testo della Legge sul federalismo regionale.