Mentre gli Stati Uniti si preparano a varare nuovi dazi sulle auto europee, l’industria italiana rischia un colpo durissimo. Abbiamo intervistato il Cavaliere Domenico De Rosa, CEO del Gruppo Smet, uno dei protagonisti della logistica industriale in Italia, per capire cosa sta accadendo davvero e perché l’Europa – e l’Italia – sembrano immobili.
Errori strategici da parte dell’Europa?
Non parliamo di singoli errori: qui c’è un’intera architettura sbagliata. Abbiamo iper-regolato, iper-tassato e iper-moralizzato l’industria europea, mentre gli altri costruivano filiere robuste e difendevano i propri mercati. Trump – e ora chi viene dopo – fa esattamente ciò che aveva promesso: proteggere l’industria americana. Noi, invece, ci siamo auto-sabotati in nome di una visione puramente ideologica che ha favorito solo i grandi gruppi franco-tedeschi.
Lo scontro con Trump è stato personalizzato. Un errore?
Un errore da dilettanti. Non si fa politica estera contro un uomo, ma con una visione. Che sia Trump, Vance o chi verrà, gli Stati Uniti hanno deciso di chiudere i rubinetti del multilateralismo gratuito. E noi rispondiamo con comunicati moralisti? Così rischiamo di passare da partner a comparse. Qui non c’entra la politica: c’entra il PIL, l’occupazione, la sovranità industriale.
E l’industria italiana in tutto questo?
Resiste. Non grazie alla politica, ma per istinto di sopravvivenza. Siamo nati col debito pubblico, cresciuti con il costo dell’energia più alto d’Europa, e oggi affrontiamo anche la schizofrenia della transizione ecologica fatta senza una strategia. Ma anche la resilienza ha un limite. Se non cambia la rotta a Bruxelles e se Roma continua a stare zitta, non basterà più sventolare il Made in Italy.
Qual è allora la direzione da prendere?
Serve una visione industriale seria, non una sfilata di convegni sulla sostenibilità. Bisogna tornare a dire che produrre è un atto nobile, che esportare è strategico, e che difendere il mercato interno è una forma di dignità nazionale. E serve una diplomazia concreta, non da salotto. Oggi l’Europa è sola, debole e senza una dottrina commerciale. L’America fa i suoi interessi. I cinesi anche. Noi ci citiamo a vicenda nei panel.
Una parola sul futuro?
Se l’Europa non ritrova il coraggio del pragmatismo, finiremo a difendere le regole di un gioco a cui non siamo più invitati. È il momento di smettere di predicare e cominciare a trattare. Ricordiamoci che senza industria non c’è sovranità, senza energia non c’è autonomia e senza strategia non c’è futuro.
Confindustria. Che ruolo dovrebbe giocare e come giudica l’attuale atteggiamento?
Lo dico con amarezza: Confindustria è troppo timida, troppo diplomatica e fuori dal conflitto reale. Serve una voce forte, che bussi con decisione a Bruxelles e Palazzo Chigi, non per chiedere incentivi a pioggia, ma per esigere una politica industriale coerente con la realtà.
Parla molto di sostenibilità, ma poco di competitività. Si confronta con i ministri, ma non li sfida. Firma manifesti, ma non detta linee. In Europa, purtroppo, non esiste come soggetto realmente influente.
Abbiamo bisogno di una Confindustria scomoda, capace di costruire una narrativa potente, che ricordi ai decisori europei che il mondo reale non è fatto di slide, ma di imprese sotto pressione. Finché non succede, gli imprenditori italiani restano soli: a pagare i dazi, a reinventarsi ogni giorno, e a sopravvivere tra l’indifferenza e la retorica.