«‘Nc’era na vota a Gioi na femmena ca era tanta e tanta bella ma egoista e vanitosa…»
Anche in vecchiaia aveva preferito badare a se stessa, cosicché quando si avvicinò l’ora della morte preferì vendere l’anima al demonio piuttosto che pentirsi.
Da allora, nascosta in un angusto antro sotto il castello, Santecchia, aveva iniziato a praticare malefici e incantesimi. Ogni notte, grazie a delle gallerie sotterrane che si dipartivano da quella grotta, vagava per il paese in cerca di bambini da catturare e offrire al demonio. Nessuno era mai riuscito a cacciarla, finché arrivò in paese un misterioso cavaliere: armato soltanto di due catene, il prode scese nella grotta e, afferrata la megera per i capelli, la rinchiuse in un baule che avvolse con forza con le catene. Prima della sua partenza il cavaliere avvisò la popolazione: «Se entro cent’anni, qualcun altro non scenderà nella grotta a cambiare le catene, Santecchia tornerà in libertà.»
Seguirono anni felici e la nuova generazione, sebbene dalla grotta provenissero urla atroci accompagnate dallo sferruzzare delle catene, dimenticò l’avvertimento.
Allo scoccare del secolo, Santecchia, assetata di vendetta e sfigurata dal decorrere del tempo, tornò presto a seminare il terrore tra la popolazione.
Nessun cavaliere tornò però a difendere Gioi.
Disperata, la popolazione supplicò San Nicola di liberarla dai malefici della strega e così fu portata la statua del Santo fino all’ingresso dell’antro. Non appena Santecchia uscì fuori la statua si animò incenerendola.
Vi è un elemento che potrebbe essere stato ispirato dalla figura di Santecchia. Si tratta, infatti, di un pannello a maioliche tardo cinquecentesche conservato nella chiesa del convento di San Francesco che, chiara allusione alla vita e alla morte, raffigura una donna per metà scheletro. Una scritta intorno ad essa, quasi un testamento spirituale, recita: “Più Bella Fui Più Brutta sono/O Inferno O Penitenza/Eliggete/ O momentaneo/diletto in questa/vita O Eterno/tormento nel altra/vita O mai, mai/e poi mai/O Sempre, Sempre/e poi Sempre/O godere/O patire/Rècipe”.
Calpestare quella figura equivaleva per molti ad andare incontro alla sfortuna; credenza che ha permesso un discreto stato di conservazione delle maioliche, recentemente ricollocate.
Tratto dal III Capitolo dell’opera di Valerio Di Vico:
“Gli antichi culti”.