La struttura è in attesa di un intervento di riqualificazione
CASTELLABATE. Da decenni è considerato l’hotel della camorra. Segno indelebile della presenza della malavita sul territorio cilentano. Il Castelsandra per anni è stato il quartier generale dei camorristi. Sequestrato, confiscato e restituito alla comunità locale potrebbe tornare ai fasti di una volta se si realizzeranno i progetti più volte paventati.
Questo il futuro ancora da scrivere. Ma c’è un passato che non si cancella. La prima pietra fu messa oltre quarant’anni fa. Erano gli inizi degli anni settanta. Alcuni imprenditori belgi si innamorarono della collina di San Marco. Decisero che lì, dinanzi al panorama mozzafiato del mare Cilentano doveva nascere l’hotel Castelsandra. La creatura di cemento immersa nell’omonima pineta, prende forma e vita. Diventa la struttura turistica più bella della costiera cilentana tanto da catturare l’attenzione di nuovi proprietari. A quel punto la storia cambia. Finisce la favola. Gli imprenditori belgi, c’è chi dice costretti a farlo dopo forti pressioni, decidono di vendere. Siamo agli inizi degli anni 80 e al Castelsandra arriva il clan Nuvoletta.
Le quote di maggioranza appartenevano a Luigi Romano, imprenditore legato alla Nuova famiglia che si opponeva al clan di Cutolo. I nuovi proprietari ampliano la struttura con l’edificazione di altre 28 villette annesse al corpo centrale. Il Castelsandra diventa una struttura enorme: 125 camere, su cinque piani, discoteca, piscine e ascensore, scavato nella roccia, che portava direttamente sulla spiaggia. Tutto rigorosamente abusivo. Per anni l’albero ospita in villeggiatura i più importanti e pericolosi camorristi dell’epoca, da qui partivano gli ordini per omicidi e spartizione del potere tra i clan della Nuova Famiglia. A fare gli onori di casa l’imprenditore “don” Luigi Romano, braccio economico del clan maranese, proprietario della “Bitum Beton” di Casoria e della “Sud Appalti”, con la quale gestiva i servizi di pulizia in diversi uffici pubblici del casertano, da Maddaloni a Santa Maria Capua Vetere.
Un filo tutt’altro che sottile collegava, già trent’anni fa, territori ad alta densità camorristica con l’immacolata distesa cilentana, tanto che il 13 luglio 1992 arrivano i sigilli all’albergo e la confisca dei beni appartenenti al clan Nuvoletta, disposti dai giudici del tribunale di Napoli. Il 27 ottobre 2003 uno dei simboli di questi investimenti venne fatto letteralmente deflagrare con la dinamite. Venti metri in verticale di cemento armato collegavano l’hotel Castelsandra alla spiaggia di Santa Maria di Castellabate. Una sorta di prova di forza dei Nuvoletta. Era il cosiddetto “ascensore della camorra”, che serviva ad accompagnare gli illustri ospiti di “don” Luigi Romano direttamente sulla spiaggia. Gli abbattimenti sono proseguiti con la demolizione delle 28 villette abusive.
L’area è stata riqualificata. Restano le rovine del corpo centrale finito negli anni al centro di una lunga querelle giudiziaria. Alla fine lo Stato lo ha ceduto al Comune, perché la struttura confiscata alla camorra è stata edificata su suoli ad uso civico. Tante i progetti di riutilizzo annunciati in trent’anni. Dal centro di ricerche per la Dieta Mediteranea alla sede distaccata del tribunale di Vallo della Lucania. Una sola invece la richiesta delle associazioni ambientaliste. “L’ecomostro deve andare giù”. Il Castelsandra invece rinascere. Ne è convinto il sindaco di Castellabate Costabile Spinelli che alla presenza del Ministro Galletti, dinanzi ai resti dell’hotel, ha sottoscritto un protocollo d’intesa. Dopo tante battaglie, Comune, Ente Parco del Cilento, Vallo di Diano e Alburni e la Soprintendenza stanno studiando i dettagli di un bando internazionale che fara tornare il Castelsandra la struttura turistica di lusso di una volta. Un albergo a cinque stelle che nulla avrà da invalidare ai più rinomati complessi turistici. La confisca del Castesandra non ha interrotta la colonizzazione del Cilento da parte della criminalità organizzata.
La malavita si è fatta molto più silenziosa, sviluppandosi sotto traccia. I Cesarano, i Moccia di Afragola, i Fabbrocino di San Giuseppe Vesuviano, gli Schiavone di Casal di Principe continuano ad investire i loro soldi nel cemento, nella ristorazione, nel settore alberghiero. Senza però dare mai troppo nell’occhio.