Erano stati condannati sei medici ed undici infermieri
Sono state pubblicate le motivazioni della sentenza di appello del processo Mastrogiovanni, il docente di Castelnuovo Cilento morto mentre era ricoverato in regime di tso all’ospedale “San Luca” di Vallo della Lucania. Rocco Barone e Raffaele Basso erano stati condannati a due anni; un anno e undici mesi per Michele Di Genio; un anno e dieci mesi per Amerigo Mazza e Anna Angela Ruberto; tredici mesi per Michele Della Pepa. Anche per gli infermieri Maria D’Agostino Cirillo, Maria Carmela Cortazzo, Antonio De Vita, Giuseppe Forino, Alfredo Gaudio, Antonio Luongo, Massimo Minghetti, Nicola Oricchio, Raffaele Russo, Massimo Scarano e Antonio Tardio erano state previste condanne dai tredici mesi ai due anni di carcere (in primo grado questi ultimi erano stati assolti).
Tutto ciò perché «Durante il periodo di contenzione – scrivono i giudici nella motivazione – il paziente deve essere controllato ogni quindici minuti dal personale infermieristico e almeno ogni otto ore dal personale medico. La decisione del ricorso alla contenzione deve essere rivista qualora non sussista più la condizione che l’ha determinata». Nel documento, di oltre 160 pagine la corte di Appello ha confermato la responsabilità di tutti i medici che si sono avvicendati durante il ricovero del maestro perché «nessuno di loro pur avendo constatato che il paziente era legato e che della contenzione non vi era traccia in cartella, ha provveduto alla doverosa annotazione. Il che dimostra che l’omissione non era il frutto di negligenza o dimenticanza del singolo, ma una scelta volontaria dettata dalla consapevolezza di ciascuno dell’assenza dei presupposti legittimanti». Non possono essere giustificate idonee le motivazioni «postume» degli imputati sulla pericolosità di Mastrogiovanni perché il paziente era stato sedato in maniera massiccia. Allo stesso modo sono stati ritenuti responsabili gli infermieri. La corte di Appello ha capovolto la sentenza di primo grado che li aveva assolti perché il fatto non sussiste. «È vero piuttosto – si legge nella sentenza di secondo grado – che l’assenza di ogni annotazione in cartella della contenzione era un elemento oggettivamente tale da ingenerare negli infermieri quantomeno un fondato sospetto sulla liceità del trattamento soprattutto in considerazione della sua lunga durata».