Il Comune di San Giovanni a Piro ha acquisito venti incisioni della grande suite dei ”Segadores”
In un borgo incantato, Bosco di San Giovanni a Piro, in uno scenario unico, simile a un teatro naturale, tra il fondale della roccia, nuda, imponente del monte Bulgheria, gli ulivi piantati dai monaci basiliani, il mare di Scario, solcato dalle rotte di antichi peripli greci, scopriamo la casa-atelier del pittore e incisore Josè Ortega, che a Bosco ha vissuto per circa vent’anni. Esiliato durante il franchismo, prima in Francia, poi in Italia, è a Bosco, che il pittore spagnolo ritrova le sue radici, nonostante lo sradicamento che lo costringe, “exul immeritus”, a peregrinare per l’Europa: « Qui sono venuto a costruire un pezzetto di libertà. Lavorare in queste terre, significa osservare e imparare costantemente, per portare poi con noi qualcosa di veramente puro e genuino che valga la pena di aver assimilato.Ci sono dei momenti nella vita dei popoli, in cui gli artisti sentono che un’arte a contenuto rivoluzionario è una necessità. Quindi non più l’arte per l’arte. Noi poeti, musicisti, pittori, noi creatori d’ arte…contro coloro che predicano il disimpegno e l’evasione…sentiamo che il popolo ha bisogno di forme artistiche che chiamino all’unione per restituire libertà e democrazia al paese». Ed è proprio dalle parole del pittore spagnolo che vogliamo partire per documentare qui un’importante acquisizione del Comune di San Giovanni a Piro, che continuando il programma di tutela dell’opera del pittore (iniziato formalmente nel Marzo 2011 con l’istituzione della “Casa-museo Ortega”), ha voluto acquistare venti incisioni della grande suite dei “Segadores”, che si ispira alle sofferenze quotidiane dei lavoratori della terra. Dal mese di Dicembre si potranno ammirare le nuove opere acquisite, che arricchiranno il patrimonio inestimabile di un borgo-museo, dove il visitatore potrà immergersi in un universo-Ortega, saturo di segni che il pittore ha lasciato: la sua casa-atelier, dove si conserva intatta la fucina del pittore, la piazza che si affaccia sul golfo e ha al centro una pietra-dolmen che evoca il Monte Bulgheria, e uno splendido murale in ceramica, ispirato ai moti cilentani del 1828, in cui il popolo fu protagonista di una rivolta antiborbonica repressa duramente nel sangue. Ma la meraviglia di questo itinerario – ricco di vibratilità nascoste, di incanti di colori, di sensualità evanescenti che vengono dai luoghi che continuamente evocano la presenza del poeta – viene dalla voce e dalla presenza di un testimone unico, un custode della memoria di Ortega, il Dottor Nicola Cobucci. Ci accompagna in un itinerario fatto di ricordi, di aneddoti, di suggestioni straordinarie nella casa-atelier di Ortega dove è conservato tutto, ogni arredo, ogni libro, ogni utensile, come se il tempo non fosse mai passato. Ci mostra il suo studio, il letto, la cucina, il focolare e tutto ci parla di Ortega e della sua arte: il pavimento in cotto cilentano presenta a frammenti ceramiche con figure che evocano i contadini, palmette, incisioni. Tutto è costruito attraverso il recupero di pietre locali e ceramiche, in materiale povero, ma al contempo nobilissimo. Nessun disco registrato, nessun video, nessun ologramma come nei musei più moderni, ma solo la sua voce, la voce narrante dell’amico, custode della memoria di Ortega, che si fa corpo e anima, che diventa testimonianza unica, preziosa, rara, per ricostruire i segni di una vita e delle opere di un’artista, non ancora completamente rivelato per la dirompente forza sperimentale, la grande creatività e la suggestiva carica poetica della sua poliedrica opera. Guardando le incisioni del museo e le nuove opere acquisite si evince che l’arte di Ortega, frutto di una nuova espressione grafica e coloristica, trova sempre ispirazione e linfa vitale nei motivi della protesta, della sofferenza del popolo e dei contadini. Com’è noto, il Congresso Internazionale di Critici d’arte del Verucchio, presieduto da G.C. Argan, assegnò al pittore una Medaglia d’Oro per la sua lotta a favore della libertà. “El pintor de la mancha” ha lasciato opere di grande valore a Bosco, sia nella casa-laboratorio dove il suo estro riesce a valorizzare il sostrato della tradizione artigiana locale, sia nel museo, dove si conservano i suoi manifesti parlanti, con le parole-chiave della rivoluzione antifranchista, con le tele ispirate ai temi della protesta. Le ultime opere acquisite appartengono al ciclo dei “Segatores” e si presentano come vere e proprie allegorie viventi del mondo dei contadini, con corpi di donne distese nei campi di grano, evocazioni di animali, buoi, merli, o parti di essi evocati metonimicamente. Colpisce la grande policromia delle opere e soprattutto la caratteristica tridimensionalità che Ortega aveva appreso dai cartapestai di Matera. È un pittore misterioso Josè Ortega, seducente e, soprattutto, sensibile perché vicino al popolo, al mondo dei “paria”, degli ultimi della società. La sua è un’arte colma di realismo, ma di un realismo continuamente traslato in tropi e metafore immaginifiche, in icone, dove il colore e lo spazio sono segno e senso, significato e allusione costante. Merito del Sindaco, l’avvocato Ferdinando Palazzo, è continuare a credere fortemente nella valorizzazione di questo borgo che reca impressi, in ogni spazio chiuso e aperto, i segni del mondo Ortega, della sua espressività che a Bosco ha ritrovato le sue radici, come in una seconda madrepatria. Il Rapporto annuale di “Federculture” presentato in questi giorni ha registrato una crescita positiva del settore cultura nel nostro Paese. Dopo anni di oblio, la cultura torna al centro di dibattiti anche politici ed economici, recuperando quella centralità necessaria per creare sviluppo, per incentivare il turismo, per incrementare posti di lavoro. Gli spazi museali devono diventare in questo modo e con queste strategie un volano di sviluppo, attraverso la valorizzazione di un borgo unico nel Cilento, dove si realizza una simbiosi straordinaria tra il tessuto antropologico, l’abitato, il contesto rurale e le opere del grande pittore Ortega.