Saranno 9 gli imputati del processo per la morte del giovane Carlo Fulvio Velardi
CASTELLABATE. Si è conclusa nella giornata di venerdì 20 la serie di udienze preliminari per il caso del piccolo Carlo Fulvio Velardi. Sono ben 9 i rinviati a giudizio per la morte del ragazzo avvenuta nell’estate del 2011. Era il 26 luglio quando, in località Puntalicosa di Castellabate, il 15enne cadde in un precipizio dopo che la staccionata in legno, sulla quale si era appoggiato, cedette di colpo. L’impatto col suolo fu fatale per il giovane, in vacanza con la famiglia. 9 gli imputati a vario titolo che andranno a processo durante il quale si stabiliranno le colpe della morte del giovane. Angelo Granito di Belmonte, il principe proprietario della strada privata ma ad uso pubblico dove era ubicata la staccionata, rinviato a giudizio per non averne controllato l’idoneità ad opporre la necessaria resistenza né provveduto alla manutenzione della stessa non più rispondente alle norme di sicurezza. Roberto Avella, responsabile del servizio tecnico della Comunità Montana “Alento – Monte Stella”, per aver disposto con negligenza, imprudenza e imperizia l’installazione di una struttura in legno non idonea a svolgere la funzione di parapetto né provveduto alla successiva manutenzione della stessa a seguito del deterioramento e nel non aver delimitato l’area in questione con opportune recinzioni e segnalazioni di pericolo. Francesco Lo Schiavo, Anita Cataldo e Adelio Nicoletta per non aver controllato, per negligenza e in violazione dell’obbligo di sorveglianza ad essi affidato quali responsabili dell’ufficio manutenzione del comune di Castellabate, l’idoneità della struttura lignea nello svolgere il proprio compito. Gerardo Comunale, nel ruolo di responsabile dell’ufficio di Polizia Municipale del comune cilentano, per non aver segnalato la non idoneità della staccionata. Costabile Franciulli, Domenico Manente e Nicola Romito, operai della Comunità Montana, per aver materialmente installato la struttura di legno omettendo, per negligenza, di segnalarne la inidoneità a svolgere la funzione di parapetto. Per arrivare al rinvio al giudizio, si è passati per varie udienze preliminari nel corso di diversi mesi. «Finalmente avremo giustizia – dice il padre del ragazzo, Roberto – nessuno ci ridarà nostro figlio ma giustizia sarà fatta. Un luogo a forte richiamo turistico come è il Cilento non può permettersi di aver strutture non idonee e non sicure che possano garantire l’incolumità di tutti. L’unico fine del processo non deve essere di trovare il colpevole o i colpevoli – conclude – ma un invito a riflettere e a fare autocritica sul dovere di custodia e mantenimento in sicurezza di uno dei territori più belli al Mondo».