La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato da Alfonso D’Auria, direttore tecnico della Dervit, avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Salerno che aveva negato la revoca dei suoi arresti domiciliari. D’Auria è accusato di turbativa d’asta in relazione all’aggiudicazione di appalti per la pubblica illuminazione del Comune di Capaccio Paestum, all’epoca guidato dall’ex sindaco Franco Alfieri, anch’egli coinvolto nel procedimento penale.
Le ragioni della difesa
L’avvocato di D’Auria, Antonello Natale, aveva motivato il ricorso sostenendo l’assenza di pericolo di inquinamento probatorio e di reiterazione del reato, argomentando sulle dimissioni di D’Auria da ogni incarico in Dervit, comunicate durante l’interrogatorio di garanzia, e sulla sua successiva sospensione dal lavoro per 90 giorni.
La posizione della Corte
Tuttavia, la Suprema Corte ha giudicato il ricorso infondato, sottolineando l’esistenza di un “vero e proprio sistema illecito, incentrato sul pervasivo ruolo del Sindaco Alfieri e sulla posizione egemone della società Dervit s.p.a.”. Secondo la Cassazione, la Dervit avrebbe beneficiato dell’aggiudicazione di appalti attraverso gare viziate da condotte collusive, finalizzate a soddisfare le richieste del sindaco Alfieri, a discapito dell’autonomia degli organi tecnici. La Corte ha evidenziato come “proprio il Sindaco Alfieri aveva palesato in vario modo l’intendimento di sottrarsi alla possibile scoperta di elementi probatori”, attraverso scambio di “pizzini”, controlli su presunte intercettazioni e attività di bonifica.
I giudici romani hanno inoltre rilevato come i funzionari comunali, con ruoli direttivi e tecnici, subissero “l’influenza dominante del Sindaco” e come le loro condotte nella preparazione delle gare e le “dichiarazioni compiacenti” rese durante le indagini dimostrassero una diffusa volontà di “celare elementi di prova”. Tale quadro, secondo la Cassazione, delineava un’azione inquinante a vantaggio di tutti i partecipanti al sistema, inclusi gli esponenti di Dervit, in particolare l’amministratore De Rosa e lo stesso D’Auria.
La Suprema Corte ha poi evidenziato il “pieno coinvolgimento del ricorrente nel sistema illecito, che ruotava intorno alla figura del Sindaco Alfieri, coadiuvato dagli stretti collaboratori, e alla società Dervit”, i cui esponenti avevano assunto un ruolo “egemone” nell’acquisizione degli appalti. È stato rilevato come il coinvolgimento di D’Auria sottintendesse “uno stretto rapporto fiduciario con De Rosa e una specifica capacità di azione, che consentiva al ricorrente di operare all’interno del consolidato rapporto collusivo”. La Cassazione ha ritenuto che “il ricorrente fosse in grado di agire per il conseguimento di illeciti interessi sulla base di una strategia correlata a tale obiettivo in quell’ambito territoriale”.
Le conclusioni della Corte di Cassazione
Nel rigettare il ricorso, la Corte ha evidenziato: “La capacità e l’attitudine del ricorrente vale dunque a connotare la concretezza del pericolo in relazione ad una strategia imprenditoriale consolidata, mentre con riguardo all’attualità dello stesso non può non rimarcarsi la sussistenza di quel sistema. Né in senso contrario può valorizzarsi la circostanza che il ricorrente abbia rinunciato al ruolo di direttore tecnico e che gli sia stata revocata la procura speciale in precedenza rilasciatagli: il ricorrente continua ad essere dipendente della società Dervit, nell’interesse della quale aveva agito nel quadro di uno stretto rapporto fiduciario, non potendosi dunque ritenere, in assenza di un segnale inequivoco circa un’effettiva e piena presa di distanza da quell’operatività e da quel quadro di interessi che sia venuto meno il pericolo di reiterazione (…). Va rilevato come il sistema delineato fosse risultato operante per lungo tempo, essendo dunque necessario precludere una piena libertà di movimento e di contatti tra i protagonisti, onde disarticolare quel tipo di operatività illecita”.