L’associazione Salerno 1943 prova a ricostruire il mistero del trimotore Savoia Marchetti precipitato nel marzo ’44. A bordo importanti documenti mai più ritrovati.
Il 6 marzo del 1944 il fronte di guerra era oramai lontano dal salernitano eppure in queste zone si continuava a morire per cause belliche. Quel giorno un velivolo della Regia Aeronautica Italiana precipitò nei pressi di Rofrano causando la morte dell’equipaggio e dei passeggeri a bordo. La segnalazione di questo abbattimento è pervenuta all’associazione Salerno 1943 da Bruno, Gianni e Paolo Merella, tre fratelli appassionati di storia. Il velivolo era un trimotore Savoia Marchetti SM.83 matricola 458 I-ESTE. Questo aereo molto affidabile in varie occasioni trasportò il genero di Mussolini, Galeazzo Ciano, nei suoi viaggi di rappresentanza come Ministro degli Esteri. Alcune fonti riferiscono che questo velivolo venne utilizzato per trasportare gli emissari di Vittorio Emanuele II incaricati di concordare le clausole dell’Armistizio con Eisenhower.
Quella mattina il SM.83 era decollato per servizi aeropostali dall’aeroporto di Lecce ed era atterrato in quello di Gaudo, nei pressi di Paestum. Nel primo pomeriggio, alle 15,00, l’aereo riprese la rotta di ritorno. Su quel volo prese posto il capitano Lo Pane. Egli, in qualità di procuratore del Re presso il Tribunale Militare di Guerra del VII corpo d’Armata portava con sè con i documenti del processo a carico dell’ex console della MVSN Giovanni Martini e altre persone implicate nell’organizzazione di un comitato d’azione del partito repubblicano fascista in Sardegna. Il processo di primo grado si stava tenendo presso il Tribunale Militare Territoriale di Guerra della Sardegna, a Oristano. Con la documentazione processuale Lo Pane era di passaggio a Salerno per sottoporla a Lecce all’esame da parte della Commissione Alleata di Controllo e al Ministero della Guerra. Come riferiscono testimoni dell’epoca quando l’aereo sorvolò Rofrano vennero uditi dei rumori assordanti come se il velivolo volasse con difficoltà e poi un sibilo.
Gli abitanti del posto temettero il peggio ma non poterono fare nulla in quanto era in corso una tempesta di neve. Il sindaco Felice Lo Guercio interessò alcuni volontari per esplorare il territorio e il giorno successivo due giovani, Raffaele e Giovanni Grosso, ritrovarono l’aereo sul monte Centaurino in località Piano del Pazzo, a circa 800 metri di quota. Essi non si avvicinarono temendo che all’interno vi fossero bombe inesplose. L’indomani una squadra coordinata dal sindaco e dal vicebrigadiere dei Carabinieri Reali Clemente Allodi, facendosi strada fra la neve, si recò sul luogo del disastro constatando che non vi erano sopravvissuti. Come si evince dalle lettere del Ministero della Guerra nei giorni successivi al disastro diversi militari si recarono sul posto recuperando le salme dei caduti e i loro effetti personali.
Le relazioni redatte dalle autorità locali riferiscono che alcuni corpi delle vittime furono ritrovati a centinaia di metri dal velivolo come se qualcuno fosse sopravvissuto allo schianto e avesse cercato soccorso prima di morire assiderato o per le ferite riportate. Esse elencano con dovizia di particolari gli oggetti, i documenti e il denaro ritrovati. Nessuna notizia invece sui documenti del procuratore Lo Pane. La scomparsa di tali importanti incartamenti venne ritenuta sospetta dal ministro della Guerra Taddeo Orlando che in una missiva del 19 maggio indirizzata al comando dei Carabinieri Reali scrisse: “Nella presunzione che il Capitano Lopane (sic), prima della partenza dalla Sardegna, durante il viaggio od anche durante la permanenza a Salerno abbia potuto lasciarsi sfuggire qualche confidenza in merito agli importanti documenti che recava, questo ministero non esclude che il carico postale ed i bagagli personali abbiano potuto essere ricercati e sottratti da persona interessata al processo o, comunque, incaricata di fare sparire i documenti di cui trattasi”.
A tal proposito una missiva del Gruppo di Salerno della Legione Territoriale dei Carabinieri Reali di Napoli datata 9 giugno 1944 getta delle ombre sulla vicenda. Riportando la testimonianza di un contadino, la lettera riferisce che un ufficiale di amministrazione incaricato del recupero degli effetti personali delle vittime notò un plico chiuso e sigillato diretto al comando inglese di Lecce ed una borsa di pelle marrone contenente documenti vari. Alcuni di tali documenti esaminati dal suddetto tenente furono lacerati perché ritenuti non importanti. Il Ministero continuò ad interessare della cosa i Carabinieri chiedendo di sentire l’ufficiale in questione e di cercare la documentazione presso le abitazioni di quanti accorsero sul posto senza ottenere però alcun risultato. Si chiede Gianni Merella: “Chi poteva avere interesse a far sparire questi documenti? Come mai un esperto aviatore come il tenente Terzi precipitò contro il fianco di una piccola montagna dopo appena mezz’ora dal decollo? Sarà dipeso dalle avverse condizioni meteo? E come mai l’aereo, che avrebbe dovuto avere i serbatoi pieni di benzina, non prese fuoco?” Si possono fare solo congetture. Da allora il disastro aereo di Rofrano e i suoi morti sono caduti nel dimenticatoio.
Quando l’associazione Salerno 1943 è stata interessata della cosa sì è subito messa in moto per ritrovare il punto d’impatto. Tramite Riccardo D’Arco è stato contattato Carlo Palumbo, un barbiere in pensione di Rofrano, naturalista ed esperto conoscitore della storia e dei luoghi del suo paese. Egli ricorda molto bene la vicenda dell’aereo in quanto da bambino gli era stata raccontata dal padre che fu uno degli uomini accorsi sul posto. Il presidente di Salerno 1943, Luigi Fortunato, riferisce: “Abbiamo organizzato un’escursione con Gerardo Capuano e Matteo Pierro. Grazie alla sicura guida di Carlo non è stato difficile ritrovare il crash-site. Dell’aereo non vi è traccia in quanto dopo che la Regia Aeronautica ritenne che non era recuperabile esso è stato fatto a pezzi e venduto come rottame. Le tracce presenti nel terreno ci hanno però confermato di aver individuato il punto esatto. Infatti una piccola leva ritrovata in loco, presumibilmente appartenente al pannello dei comandi, reca chiaramente inciso il nome ‘Savoia Marchetti’. Speriamo che la nostra ricerca possa contribuire a tenere vivo il ricordo di questa tragedia e delle sue vittime”.