È stato presentato ieri, nella sede Codacons Salerno, il dossier che accende i riflettori su alcune aree del Cilento danneggiate e deturpate da ecomostri, legate tra esse da un unico comune denominatore: la mala gestio del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano ed Alburni. Ad esser citati sono ad Aquara il Centro Lontra e l’Osservatorio e Museo del fiume. L’Osservatorio della fauna migratoria a Centola- Palinuro e l’ecomostro dell’Aresta a Petina.
Il Codacons già nel 2009 portò all’attenzione nazionale le incongruenze e le contraddizioni nella politica di gestione dell’ente Parco con il Dossier: “Gli Ecomostri, storie di illegalità e di scempi ambientali.” L’attenzione dell’associazione fu allora concentrata sugli ecomostri di Montecorice, Sapri e Sassano.
«Tutte opere pubbliche concepite nel Parco e dal Parco, Ente nato, lo ricordiamo, per tutelare il territorio del Cilento e Vallo di Diano.- si legge nel dossier, ed ancora-
Il Parco Nazionale del Cilento, del Vallo di Diano e degli Alburni, istituito nel 1991, è un’area protetta di circa 36.000 ettari, che ricade interamente nella Provincia di Salerno. Al suo interno vi sono numerose aree protette, zone a protezione speciale e siti di interesse comunitario. L’Unesco nel 1997 lo ha dichiarato Riserva Biosfera e, nel 1998, Patrimonio dell’Umanità. Le aree del Cilento e del Vallo di Diano, verso la fine degli anni 70’, sono state teatro di numerose speculazioni edilizie, in special modo nella zona costiera, e l’idea del parco nacque proprio per porre fine a simili scempi, con l’intenzione di tutelare e preservare una zona ricca di storia, bellezze naturali, cultura e biodiversità. Purtroppo, però, la realtà ha tradito le aspettative, l’istituzione dell’ente Parco, non solo non è riuscita nell’originario intento di tutela, pur essendo fornita, per legge, di idonei poteri di controllo e repressione ma, addirittura, nel corso del tempo, si è resa, essa stessa, protagonista di veri e propri disastri ambientali attraverso la realizzazione di opere di grave impatto sul territorio, inutili ed inutilizzate, con grave spreco di risorse economiche e fondi pubblici in danno della collettività e del paesaggio. (…) Le situazioni di forte degrado evidenziate, rappresentano soltanto un frammento delle numerosissime sofferenze ambientali e paesaggistiche cui è sottoposto un patrimonio che ha un valore così pregevole da ricevere ambiti riconoscimenti internazionali dall’Unesco. L’incuria ha raggiunto punte di tale gravità che, insieme alle inerzie delle Istituzioni e degli organi deputati all’attività di controllo, fa sorgere il quesito: quello del Cilento e Vallo di Diano , è degno di essere chiamato Parco naturale?
La domanda è impegnativa e di non facile soluzione. È tuttavia intenzione del Codacons sottoporre il quesito, e quindi il presente documento, all’attenzione delle competenti Autorità. Prime fra tutte la Commissione dell’Unione Europea, le Autorità inquirenti, il Prefetto, il Ministero dell’Ambiente, l’Ente Parco, la Soprintendenza per i Beni Culturali e per il Paesaggio,Organi, questi, già destinatari degli esposti, delle denunce, delle querele, delle diffide e delle azioni giudiziarie che il Codacons ha svolto nel corso degli anni. La domanda non potrà non investire anche l’UNESCO, sezione Italia, affinché i responsabili facciano –responsabilmente- le opportune riflessioni sulla sussistenza delle condizioni che hanno portato al riconoscimento degli status già assegnati al Cilento».
A scendere in campo anche la Soprintendenza che, sensibilizzata dal Codacons sulla presenza del manufatto mai completato in località Aresta in Petina che comporta un degrado ambientale notevole considerato che è stato eretto al centro di una grande vallata, priva di alberi, dove sorge l’Osservatorio Astronomico, in una lettera indirizzata all’Ente Parco ed al comune di Petina, chiede chiarimenti sulla situazione tecnico-amministrativa e di intraprendere gli adempimenti utili alla rimozione dell’opera incompiuta.
Il Codacons, dal suo canto, cerca di ottenere la riqualificazione delle opere, lì dove possibile, e l’abbattimento laddove necessario.
Tommaso Pellegrino, presidente dell’Ente Parco dichiara che è impensabile che ci possano essere opere incompiute, se sono state progettate e realizzate, esse hanno una loro logica. «Se non ci sono fondi per il completamento esse non andavano proprio avviate. Questo vale come principio. Il Parco ha il dovere di vigilare».