Verso la fine dell’ottocento, alcune indagini condotte nel territorio cilentano evidenziavano la precarietà delle condizioni di vita e la miseria palpabile soprattutto tra le persone più umili.
L’appuntamento
Il territorio cilentano era stato caratterizzato da due eventi che avevano coinvolto persone insoddisfatte e deluse dal governo dei Borbone nel corso del secolo: i moti del 1828 e del 1848, che avevano rivendicato diritti e libertà, avevano dato speranza di cambiamento, non tanto in termini politici, ma soprattutto per migliorare le condizioni di vita.
L’appuntamento è per il 29 aprile alle 17:00 presso il Centro Contemporaneo delle Arti a Roccadaspide
Le idee illuminate e il periodo murattiano avevano generato movimenti e scintille che avevano interessato principalmente i ceti medio-alti della borghesia. Successivamente, c’era stato il 1820, definito il momento di tutte le rivolte, seguito dalle retate e dagli arresti degli anni successivi, come nel Cilento nel 1833 e nel 1837, e dalla spedizione di Pisacane nel 1857. Infine, il brigantaggio aveva segnato in modo drammatico il periodo post-Unità d’Italia. Tutto ciò era accaduto tra rivoltosi illuminati, idee liberali e repubblicane e una popolazione che viveva nell’indigenza.
La trama
I Borbone avevano definito per questa ragione il territorio cilentano come la “Terra dei Tristi”. Tuttavia, il termine “triste” non aveva una definizione univoca. Alcuni lo consideravano uno stato d’animo individuale di origine psicologica, che significava anche lugubre e rancoroso; altri lo associavano alla natura malvagia e perversa di chi commetteva delitti; altri ancora ai sovversivi e ai briganti. In quest’ultimo caso, era necessario definire anche i briganti, sia coloro che erano stati attivi nel territorio meridionale dopo l’Unità d’Italia, sia quelli che avevano cercato di ribellarsi durante il periodo borbonico. Infatti, questi “tristi” avevano riguardato un periodo storico abbastanza ampio, fino agli ultimi decenni dell’ottocento, offrendo una connotazione legata a idee politiche di rottura dell’ordine costituito.
Il volume di Luigi Leuzzi si occupa di queste questioni, analizzando le diverse posizioni di molti studiosi, che oscillano tra gli umili che lottano contro gli abusi (come Chieffallo) e i sovversivi che abbracciano la causa liberale (come Rossi). Ci sono anche le opinioni di Galanti, che sottolinea la ferocia e lo spirito di vendetta; di Rizzi, che evidenzia la crudeltà e l’abitudine ad uccidere; e di Gatti, che fa riferimento alla bellicosità e allo spirito antireligioso.