Il 25 marzo del 1767 nasceva Gioacchino Murat, re di Napoli. Successe a Giuseppe Bonaparte dopo l’occupazione militare del Regno. Personaggio dalla personalità carismatica, Murat fu particolarmente amato dai napoletani e con lui il regno assunse un carattere più nazionale.
Gioacchino Murat stimò molto il territorio del Cilento tanto da pronunciare, in prossimità del Belvedere di Castellabate, la celebre frase: “Qui non si muore”, scritta su una targa presente e omaggiata nella pellicola cinematografica “Benvenuti al Sud” diretto da Luca Miniero (2010).
Secondo i vari racconti, sul destino di Gioacchino Murat avrebbe influito anche un episodio accaduto ad Agropoli, quando la guarnigione francese del capitano Remy, arrivò in paese insediandosi nel Castello nel 1808.
Gioacchino Murat e lo strano destino che lo legò ad Agropoli
I francesi si apprestavano ad organizzare al meglio le postazioni del castello, rimettendo in funzione due cannoni abbandonati, rinvenuti presso il Palazzo del Governatore. Questi cannoni vennero presto utilizzati: i francesi notarono al largo di Agropoli una nave da guerra britannica che inseguiva una chiatta carica di armi e munizioni diretta in Calabria, quindi spararono con l’artiglieria ritrovata contro gli inglesi, ignari dell’esistenza della guarnigione. Stando alla tradizione, la loro ritirata permise il salvamento della chiatta e del suo comandante, il pirata maltese Barabas. Quest’ultimo sarà fatale per il destino di Gioacchino Murat.
Il Congresso di Vienna portò alla restituzione ai Borboni del regno di Napoli. Murat non si diede per vinto, tentò di riconquistare il trono. Partì dalla Corsica alla volta della Campania con sei barche a vela e duecentocinquanta uomini, con l’obiettivo di far leva sul malessere della gente, nel 1815, ma una tempesta disperse la piccola flotta. Infatti, la sua barca, insieme ad un’altra superstite, approdò l’8 ottobre a Pizzo Calabro.
Lo strano destino di Murat
Secondo la tradizione la notizia della sua comparsa in paese giunse all’orecchio del capitano borbonico Trentacapilli che riuscì a raggiungerlo. Gioacchino e i suoi si gettarono per balzi e dirupi verso il mare nella speranza di raggiungere i canotti e con essi l’imbarcazione che era rimasta a largo, ma la nave, comandata da Barabas era già andata a largo.
Fu fatto prigioniero dopo aver scritto un’ultima lettera d’addio alla moglie Carolina e ai figli. Murat ordinò al plotone di sparare, chiedendo soltanto che gli si fosse risparmiato il viso.