Attualità

Marco Travaglio ospite a San Marco di Castellabate, l’intervista

Ospite della tenuta: “Giacaranda” a San Marco di Castellabate, Marco Travaglio, sviscera errori ed orrori della guerra in Ucraina.

Roberto Scola

6 Giugno 2022

Determinato come sempre, le parole sostenute da una perfetta memoria, una preparazione robusta degli argomenti trattati, fanno di Marco Travaglio un interlocutore indomabile, veloce nei ricordi, sempre sul pezzo nel pensiero.

Direttore, cosa bisogna fare per questa “maledetta” guerra, dal suo punto di vista?

“Bisogna scendere dal mondo dei sogni e chiedersi come si fa se Putin continua a vincere. Sta succedendo l’opposto di quello che ci ha raccontato la nostra propaganda, e quindi bisogna cambiare registro per evitare agli ucraini ulteriori mattanze. Bisogna fare i conti con la realtà in questo momento, Putin controlla il Donbass e una lunga striscia di terra sul mare di Azov.

Quindi dovremmo augurarci subito delle trattative di pace?

Sicuramente, anche se al centunesimo giorno di guerra ognuno vuole la sua pace. Putin, vuole continuare a chiamare il massacro quotidiano “operazione militare speciale”: se non è una guerra, non c’è motivo per cercare la pace. Biden è confuso, Zelensky di più, la Nato vuole imbottire di armi Kiev per la “guerra lunga”, così alla fine non si riuscirà più a distinguere il dopoguerra dalla guerra.

L’Italia che linea propone?

La linea Draghi è buttare lì ogni tanto, con aria svagata e annoiata, che “Putin non deve vincere”. Tutto e niente. Ma quello che mi stupisce di più è la linea Mattarella. Vanta molti pregi, anzitutto l’originalità e la plausibilità: infatti si fonda sul “ritiro degli aggressori russi dall’Ucraina” come precondizione per l’avvio dei negoziati. Che poi fra l’altro non dovrebbero neppure iniziare perché la ritirata di Russia restituirebbe l’intera Ucraina agli ucraini e non si saprebbe più su che negoziare.

Confusione e improvvisazione di una classe politica mondiale?

Si. Ho scritto qualche giorno fa un editoriale: “Armiamoli e morite”. La politica occidentale sta procedendo questo, con: morti, distruzioni, orrori, profughi e prigionieri in Ucraina, mentre l’Europa si svena e si scanna per le sanzioni alla Russia. Dall’attacco criminale russo abbiamo buttato quasi 100 giorni a ripetere chi era l’aggressore, come se qualcuno ne avesse mai dubitato e quel mantra servisse a salvare una sola vita.

Che ne pensa degli intellettuali di primissimo ordine che si stanno battendo per la pace?

Orsini, Spinelli, Caracciolo, Kissinger o il Papa si battono e si sono battuti dal primo giorno per quello che Zelensky – finalmente libero dal ricatto nazista del battaglione Azov – ammette: “Non credo che potremo riprendere l’intero nostro territorio con l’esercito. Se decidessimo di farlo, perderemmo centinaia di migliaia di vite. Meglio la diplomazia”. Cioè mettere sul tavolo della trattativa non solo la Crimea occupata senza proteste dai russi nel 2014, ma anche il Donbass (ormai in mano russa, come la striscia Sud sul mare d’Azov) e accettare il principio “territori in cambio di pace” che, se fosse stato ben consigliato e l’avesse accettato prima, ci avrebbe forse risparmiato la guerra.

Ora è inutile piangere sul latte (e il sangue) versato?

Si. Ma a patto di non perdere più tempo (cioè vite e territori): se l’Italia, l’Ue e la Nato tengono tanto all’autodeterminazione dei popoli, propongano un referendum nei territori occupati dai russi per far decidere ai cittadini – non a Putin, Zelensky e Biden – con chi vogliono stare.

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