Nelle festività natalizie sulle tavole cilentane non mancano mai i fichi bianchi del Cilento. Durante l’autunno numerose aziende locali lavorano il delizioso Fico Bianco D.O.P. essiccato. Il lavoro inizia però in questo periodo con la raccolta.
La produzione, in termini di quantità, è dignitosa, ma non certo paragonabile, purtroppo, a quella della prima metà del 1900. Il Fico Bianco di Agropoli e del Cilento è stato per oltre un secolo il prodotto di eccellenza della nostra agricoltura. Il “pane dei poveri”, come veniva chiamato il fico essiccato, essendo un cibo economico, di buona conservazione, con alto contenuto calorico, veniva consumato, prevalentemente, dalle famiglie povere. In ogni casa c’erano dei cassoni pieni di fichi secchi di seconda (mezzo fico) e terza scelta (fichi di scarto).
L’aumento della produzione dei fichi secchi si ebbe quando, per le loro caratteristiche, divennero il pasto principale dei nostri emigranti sulle navi, nei lunghi viaggi oceanici. Di conseguenza, aumentò l’esportazione, sia per accontentare gli emigranti italiani, sia per conquistare commercialmente nuovi mercati. L’aumento della richiesta di fichi secchi indusse i produttori locali ad intensificare la coltivazione delle piante da fico con la varietà Dottato,il fico più bello del mondo, migliorando, così,anche la qualità del prodotto.
I fichi furono introdotti nel Cilento nel VI sec. a.C. dai Greci.Nel periodo romano, come raccontavano, Catone e Varrone, erano il cibo dei contadini cilentani e lucani. Nel 1486 il “Quaterno” doganale delle marine del Cilento documentava l’esistenza di un fiorente traffico di commercio dal Cilento per i mercati italiani.
Ad Agropoli, nel 1850 iniziò a lavorare e a commercializzare il prodotto il Cav. Antonio Scotti. Nel 1882 la ditta “Davide Pecora e figli” iniziò la vendita di frutta secca, vini ed oli del Cilento, con speciale menzione per i fichi secchi. Dopo qualche anno i fratelli Pecora aprirono una sede commerciale a Yonkers nello Stato di New York.
Nel 1888 fu la volta dell’azienda di Ignazio Botti, grande produttore, che esportò il dolce nettare in Europa e negli Stati Uniti. Seguirono nei primi decenni del 1900 le ditte di Avenia-Siniscalchi, F.Rossi, Sarnicola, A.Liquori, Alfonso e Vito Benincasa, Antonio Voso ed altri produttori cilentani di Prignano, Torchiara, Ogliastro, Castellabate, etc. Dopo la seconda guerra mondiale, la ditta Noberasco di Albenga aprì uno stabilimento ad Agropoli in società con Antonio Voso, ditta che, in seguito, si chiamerà Murano. La ditta Liquori sarà acquistata dalla ditta Risoli. Questi, più o meno, erano i produttori di Fichi Secchi ad Agropoli fino agli inizi degli anni sessanta.
La raccolta dei fichi freschi avveniva ad agosto ed era curata dalle “Ficaiole”, ragazze che raccoglievano con molta cura i fichi sugli alberi.
Seguiva l’essiccazione naturale al sole con i fichi adagiati sulle “inestre” nell’aia del podere.
Le fasi successive della produzione consistevano nello sceverare, lavare e pulire, selezionare per tipi e qualità, lavorare e confezionare i fichi secchi. In base alle richieste il confezionamento era fatto in fogli di carta, in seguito, di cellofane o in artistiche scatole di latta.
La preparazione dei fichi secchi era affidata alle mani esperte e delicate delle donne cilentane chiamate“incollettatrici”. Le“incollettatrici”erano le donne di casa, di tutte le età, abili al lavoro, impiegate, da settembre a dicembre, nella lavorazione dei fichi secchi. Lasciavano di buon’ora il focolare domestico e dedicavano l’intera giornata al lavoro. Ovviamente non c’era paga sindacale, gli orari superavano le otto ore, etc. In compenso si lavorava in un ambiente familiare; si usciva di casa, cosa difficile per le ragazze a quei tempi; le mamme portavano a casa qualche lira per migliorare l’economia della famiglia e le ragazze per acquistare il corredo per il proprio matrimonio.
Varie le specialità: Fico pelato, fichi grossi, sbucciati, bianchissimi, ricoperti da un velo di zucchero; ‘mpaccati e infornati ,fichi al forno leggermente dorati, infarciti di mandorle tostate, con leggero aroma di semi di finocchio o piccoli pezzi di buccia di cedro o arancio, tra foglie di lauro e artisticamente infilzati da legnetti; ‘mpaccati, morbidissimi fichi pressati e costretti in piccole forme, come torroni e confezionati con il cellofane. Oggi sono di moda ricoperti di cioccolato fondente.
Le incollettatrici, a volte, inserivano di nascosto nelle confezioni un bigliettino augurale o di saluto con le proprie generalità. Il sogno era di trovare il principe azzurro ed in qualche occasione il sogno diventava realtà.
L’idea dei bigliettini fu ripresa con grande successo dalla Perugina per i suoi Baci.
I fichi confezionati, in base alla destinazione, erano spediti dal porto e dalla stazione di Agropoli, o partivano con carri trainati dai buoi e dai cavalli.
Le aziende di produzione dei fichi di Agropoli e del Cilento parteciparono a numerose Mostre e Fiere in tutto il Mondo, conquistando premi ed onorificenze per la bontà, la qualità e il confezionamento del prodotto.
Dagli anni settanta del ventesimo secolo, la vendita del Fico Bianco del Cilento, purtroppo per vari motivi, è calata. Nel 2002, l’assegnazione al Fico Bianco del Cilento di prodotto D.O.P. ha stimolato le aziende produttrici locali ad attuare un rigoroso protocollo di lavorazione artigianale con l’utilizzo esclusivo di fichi locali. Oggi, come ieri, il prodotto, dalla pianta alla lavorazione, non subisce trattamenti chimici durante le varie fasi di produzione. Da questo ritorno al passato è nato un prodotto di alta qualità che sta riconquistando i mercati internazionali e le tavole dei buongustai di tutto il mondo. Gustare o regalare i fichi del Cilento fa bene alla salute e all’economia locale.
In modo sintetico e spero esaustivo, vi ho proposto l’importante storia, per l’economia locale, del Fico Bianco del Cilento. Se volete, potete dare il vostro contributo all’approfondimento dell’argomento.