Dal Monte Gelbison al Cervati, dal Vesole agli Alburni. Passeggiando nel comprensorio del Cilento e Vallo di Diano è facile imbattersi in costruzioni interrate o seminterrate chiamate “nevere” o “neviere”, che potremmo definire i frigoriferi dell’antichità. Si tratta di costruzioni industriali profonde diversi metri e con svariate fogge che utilizzate per produrre o conservare il ghiaccio che si formava.
Le nevere del Cilento
Una usanza che ritroviamo fin dal Rinascimento. L’utilizzo delle nevere, infatti, era l’unico sistema per avere a disposizione il ghiaccio utilizzato sia per raffreddare le bevande delle famiglie più agiate che con scopi terapeutici, per la cura, ad esempio, di febbri, contusioni o ascessi.
Il funzionamento
La produzione aveva inizio proprio in montagna, dove contadini e braccianti, tramite appositi attrezzi, raccoglievano la neve caduta in inverno. Attraverso la sua compressione all’interno della nevera si produceva il ghiaccio.
Talvolta per isolare l’ambiente si utilizzava uno spesso strato di foglie secche, utilizzato anche per separare vari strati di neve. La parte superiore, invece, si ricopriva di paglia e terriccio. In questo modo si riusciva a conservare il ghiaccio fino alla stagione estiva. A bordo di muli, poi, si trasportava in paese.
Le nevere del Cilento risalgono probabilmente all’800. Alcune di queste, come quelle di Trentinara, site sul monte Vesole, sono state oggetto di recupero, altre versano in stato di abbandono ma conservano un antico fascino.
Nel ‘900 la neve raccolta nelle nevere veniva utilizzata anche per la preparazione di sorbetti o granite. Con la produzione dei primi refrigeratori, però, queste strutture sono cadute in disuso.