SAN MAURO CILENTO. Emergenza cinghiali, non si è fatto abbastanza. In sintesi è questo il pensiero di Giuseppe Cilento, sindaco di San Mauro Cilento, che conosce bene il problema ungulati. La presenza di questi animali nel territorio del Parco sta crescendo a dismisura. Se in passato questi arrecavano disagi unicamente agli agricoltori devastando le loro culture, oggi stanno diventando sempre di più un problema anche per la pubblica incolumità. I cinghiali, infatti, provocano incidenti stradali e sempre più spesso sono presenti nei centri abitati. Tutto è iniziato tra gli anni ’60 e il 2005 quando, ricorda Cilento, la Provincia ha immesso cinghiali, soprattutto ungheresi, perché più prolifici (13 cuccioli l’anno) e perciò graditi alle associazioni venatorie. Ben altra cosa era il cinghiale appenninico, già presente in zona e assolutamente meno prolifico.
«La prolificità dei cinghiali ungheresi, se calcolata in base alla rozzezza di un calcolo esponenziale, porta a esiti inquietanti. Il numero dei cinghiali calcolato in assenza di mortalità e malattie aumenta in modo esponenziale. Se noi assumiamo, dunque, che ogni coppia genera mediamente 8 cuccioli l’anno ( si dice anche 13 per la razza ungherese), i cinghiali di una sola coppia diventano nel calcolo esponenziale dopo 5 anni 237, dopo dieci anni 8.886 », osserva Cilento.
«Lo Stato ha, quindi, da una parte favorito la crescita del numero dei cinghiali per la caccia e dall’altra ha deliberato, con legge apposita, che sul nostro territorio non si potesse cacciare, in quanto compreso nell’area Parco. Una evidentissima contraddizione, che lo Stato deve sanare», dice il primo cittadino di San Mauro Cilento.
Poi entra nel cuore del problema, strettamente connesso a quello della zootecnia e della fertilizzazione organica in agricoltura. «Possibile che non si riesca riflettere sul fatto che per ammazzare una capra del valore di 50 Euro si debbano spendere fino a 500 Euro per trasportarla a macelli troppo rari e distanti?
Possibile che non si capisca che i selettori hanno bisogno di controlli e di macelli ravvicinati e non solo di strutture per conservazione e la refrigerazione delle carni?», si chiede Cilento. Insomma il problema cinghiali con le iniziative adottate fin ora non può essere risolto.
Quali sono allora le soluzioni? «Si dovrebbe richiedere ai Ministeri dell’Agricoltura e dell’Ambiente, al Parlamento, alla Regione, al Parco di ampliare il numero dei selettori in ogni comune (in rapporto al danno e al numero degli abitanti) ed estendere il periodo dell’intervento selettivo ordinario nelle zone agricole del Parco, tenendo conto delle emergenze segnalate, essendo diventato insostenibile il danno all’agricoltura e alle casse dello Stato nella riparazione dei danni». Campagne informative, attivazione di più selecontrollori, apertura di nuovi macelli, convenzioni con macellerie e ristoranti, facilitazioni dei pagamenti di equo indennizzo per i danni alle culture. Infine miglioramento del sistema degli aiuti alle recinzioni.
«Ma altrettanta attenzione andrebbe rivolta a quello che sta succedendo nell’avifauna. E’ sotto i nostri occhi l’incremento delle gazze e dei rapaci e (forse) il decremento dei serpenti e delle altre specie di uccelli. Il fenomeno andrebbe meglio monitorato e compreso», conclude Cilento.