Tra le eccellenze enogastronomiche campane, vi è anche un alimento molto particolare. Si tratta della cipolla, un prodotto delle terra figlio delle tradizioni contadine e testimone instancabile della storia. L’Istituto di Scienze dell’Alimentazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche ha condotto uno studio, pubblicato sulla rivista scientifica “Journal of Food Composition and Analysis”, su quattro cipolle autoctone, coltivate in altrettante aree geografiche: Vatolla nel Cilento, Airola nel beneventano, Alife in provincia di Caserta e Montoro nell’avellinese.
Per la prima volta, si è dunque portato avanti uno studio prestigioso che ha messo in rete le quattro cipolle campane. «Tali eccellenze – spiega la ricercatrice autrice della studio Rosaria Cozzolino – possono essere classificate come “ramate”, grazie alla peculiare colorazione della buccia esterna del bulbo. I campioni di ciascuna varietà sono stati acquisiti da diversi produttori e analizzati separatamente nelle annate dal 2017 al 2019, a cui ha fatto seguito la forzata pausa pandemica. Si tratta di coltivazione autoctone, molto apprezzate per le loro note aromatiche, la cui coltivazione è tuttora fatta seguendo pratiche agronomiche tradizionali e, pertanto, a rischio di erosione genetica a causa del sempre maggior di utilizzo delle pratiche di monocultura. Essenzialmente, di tutte e quattro è stato determinato il contenuto qualitativo e semi-quantitativo dei composti fenolici e dei composti organici volatili mediante tecniche avanzate di spettrometria di massa».
Menzione particolare va al bulbo cilentano, portato dai monaci basiliani oltre mille anni fa: «Nei vari campioni di cipolla di Vatolla – aggiunge la ricercatrice – è stato possibile identificare un presunto biomarcatore specifico, il 2-metilfurano, del tutto assente nelle restanti varietà locali».
Lo studio, già molto importante dal punto scientifico, può avere ricadute notevoli sul tessuto sociale ed economico dei piccoli territori di riferimento. «Con la pubblicazione – le parole della dottoressa Cozzolino – è stata fornita una migliore conoscenza delle proprietà di queste cipolle con la quale contribuire a definire e preservare un prezioso patrimonio genetico e di biodiversità storico-culturale. I risultati ottenuti – conclude – potrebbero servire a promuovere futuri programmi di coltivazione volti a salvaguardare e continuare la produzione delle varietà autoctone a rischio di estinzione, nonostante le loro eccellenti qualità».