«Sento il dovere di esprimere i miei profondi sentimenti di partecipazione per la grave mancanza di risposte dinanzi a un fatto di sangue così grave». E’ quanto sostiene il premier Giuseppe Conte. A dieci anni esatti dall’omicidio di Angelo Vassallo, il sindaco pescatore di Pollica Acciaroli, il premier scrive a Dario, fratello della vittima e presidente della Fondazione che si sta battendo per fare piena luce su un delitto ancora impunito. Dario Vassallo aveva invitato Conte ad Acciaroli per la “Festa della Speranza” che si svolgerà il 5 settembre, in occasione dell’anniversario dell’assassinio consumato con nove colpi esplosi da una pistola baby Tanfoglio calibro 9 mai ritrovata.
Il presidente del Consiglio non potrà prendere parte all’evento a causa di impegni istituzionali, ma ha voluto far sentire ugualmente la sua vicinanza alla famiglia Vassallo. Nella lettera, il premier ricorda che Angelo era stato sindaco di Pollica per ben quindici anni e che si era «impegnato fino al sacrificio della vita per la legalità, per il rispetto delle regole e delle istituzioni, per garantire gli interessi e le libertà dei cittadini, per combattere senza cedimenti la criminalità organizzata». Un amministratore che, evidenzia ancora il presidente Conte, «ha svolto il suo compito di primo cittadino con orgoglio, coraggio e straordinaria integrità morale, costituendo un esempio non solo per i cittadini del territorio cilentano ma per tutto il Paese». Ciò nonostante, chi lo ha ucciso non ha ancora un nome. «L’assassino è ancora tra noi e vive nelle istituzioni», avverte Dario Vassallo, che sul delitto ha scritto con il giornalista del Fatto Vincenzo Iurillo un libro intitolato “La verità negata”.
«Per chi sa leggere, lì si può capire chiaramente chi ha ucciso Angelo», afferma Dario. E aggiunge: «Come dissi a Repubblica due anni fa, non è stata una persona sola, ma almeno tre. Spero che la magistratura italiana legga questo libro, perché lì viene evidenziato come un gruppo di appartenenti allo Stato abbia tenuto comportamenti non idonei al loro ruolo. All’autorità giudiziaria chiedo di accertare se hanno agito da soli, oppure insieme. Io penso che un sistema abbia depistato le indagini. Ma tocca a giudici e pm accertarlo».
In questi dieci anni, la Procura di Salerno e i carabinieri hanno scandagliato tutte le piste senza mai ottenere elementi sufficienti a chiedere un processo. E questo pur essendo stato ricostruito quasi subito il contesto nel quale l’omicidio potrebbe essere maturato. Durante l’ultima estate della sua vita, infatti, il sindaco pescatore era letteralmente ossessionato dallo spaccio di stupefacenti che aveva invaso la “perla del Cilento”. Il dilagare della vendita e del consumo della droga era giunto a lambire persino i suoi affetti più cari, coinvolgendo l’allora fidanzato della figlia. Vassallo era allarmato dalle possibili coperture di questo traffico, al punto da andare una sera da solo, accompagnato unicamente da due vigili, ad affrontare gli spacciatori sul porto di Acciaroli. Ma se questo è lo scenario, altra cosa è scoprire chi impugnò quella pistola. Il nuovo procuratore di Salerno, Giuseppe Borrelli, sta ripercorrendo dall’inizio tutto il lavoro svolto in questi anni.
Nel corso del tempo, sono stati aperti e chiusi più fascicoli. A cominciare da quello nei confronti dello spacciatore italo-brasiliano Bruno Humberto Damiani, accostato al delitto sin dalle prime ore ma risultato peraltro negativo all’esame dello stube e poi scagionato. È stata disposta l’archiviazione per insussistenza di indizi anche per il colonnello dei carabinieri Fabio Cagnazzo e del suo attendente, Luigi Molaro, finiti sotto la lente degli investigatori da quando, all’indomani dell’omicidio, pur senza una delega formale della magistratura, l’ufficiale rimosse le telecamere di un negozio affacciato sul porto di Acciaroli. Lo scorso dicembre, alle telecamere della trasmissione “Le Iene”, Cagnazzo ha respinto qualsiasi coinvolgimento nel caso e ha successivamente ha agito in giudizio contro chi lo ha tirato nuovamente in ballo.
Fu quasi subito accantonata invece la pista che ipotizzava il coinvolgimento della vigile Ausonia Pisani, figlia di un ex generale dei carabinieri originario del Cilento, condannata a 16 anni perché coinvolta insieme al suo ex compagno, Sante Fragalà, in un duplice omicidio avvenuto a maggio del 2011 a Cecchina, nel Lazio, e maturato proprio negli ambienti della droga. L’ultimo filone d’inchiesta risale a due anni fa, quando ha ricevuto un avviso di garanzia con l’accusa di concorso in omicidio un altro carabiniere, il sottufficiale Lazzaro Cioffi (che poi ha dismesso la divisa) a piede libero per il delitto di Acciaroli ma detenuto perché imputato con l’accusa di collusioni con il boss della droga del Parco Verde di Caivano, Pasquale Fucito.
L’esito di questo capitolo investigativo non è ancora noto. Ma la presenza di tanti carabinieri in questa storia, sottolinea Dario Vassallo, «non incrina la nostra fiducia nell’Arma. Qualche mese fa ho incontrato il comandante generale Giovanni Nistri. Ci ha ricevuto cordialmente, abbiamo parlato a lungo. L’Arma è al nostro fianco. Se altri con la divisa hanno tenuto comportamenti sbagliati, dovrà accertarlo la magistratura».