L’espressione casa mia racchiude in sé un insieme di sentimenti variegati di appartenenza, calore, familiarità, sicurezza , e allo stesso tempo di mobilità e intraprendenza. Casa è il posto da cui partire e a cui tornare ogni giorno, ma che cosa succede quando casa diventa una prigione?
Il lockdown causato dal Covid-19, per un periodo lungo circo due mesi ha comportato la sospensione delle attività produttive, scolastiche, lavorative mettendoci di fronte a una riorganizzazione radicale della quotidianità, limitando gli spazi di libero movimento a quelli delle mura domestiche.
La sospensione dalla realtà che per qualcuno ha rappresentato una vera e propria pausa dalla frenesia della routine per dedicarsi agli affetti e al recupero delle passioni, degli hobbies, per la riscoperta di se stessi, di contro per altri ha rappresentato un momento di particolare difficoltà.
Tra le conseguenze maggiormente diffuse, ci concentreremo oggi, in particolare, sulla cosiddetta “Sindrome della Capanna”, anche detta “Cabin Fever” o “Sindrome del Prigioniero”. È un disturbo che fa parte della macrofamiglia delle sindromi da disregolazione emotiva e prevede uno stato di emotività caratterizzato da tensione, angoscia, ansia e smarrimento che spinge, chi ne soffre, a voler continuare a rimanere al sicuro nella propria casa.
Tra i sintomi più comuni ci sono: la demotivazione, sentimenti di angoscia, paura, tristezza, frustrazione, episodi irritabilità e tensione, malessere fisico, letargia, stanchezza.
Storicamente questo disturbo è stato verificato nei paesi particolarmente freddi, dove le basse temperature dell’ambiente circostante si contrappongono al tepore del proprio focolare.
Nel periodo storico in cui viviamo attualmente, caratterizzato dalla ripresa delle attività e della quotidianità “fuori casa”, la paura incombente del contagio ci rende particolarmente esposti a questo tipo di disturbo. Il virus Covid-19 non è ancora del tutto scomparso e ricominciare la vita in uno stato di particolare incertezza e rischio potrebbe far emergere una serie di paure con la conseguente spinta a rimanere al “sicuro”. Molteplici paure riguardano la possibilità di contrarre il virus: il timore che le persone care possano ammalarsi fino ad arrivare a percepire angoscia per il futuro. Tali paure sono talmente invalidanti da provare sollievo pur restando confinati nel proprio appartamento.
Particolarmente a rischio sono le persone che hanno avuto contatto diretto con il contagio, tra cui persone con casi di contagio in famiglia, tra i propri cari o nelle vicinanze.
Nei casi più preoccupanti, ci troviamo di fronte a una vera e propria disregolazione emotiva caratterizzata da un’interruzione della “stabilità interna” dei processi legati alle attività di cervello-mente-corpo-ambiente. La disregolaazione emotiva riguarda il malfunzionamento della regolazione emotiva, la quale rappresenta un costrutto “che delinea un processo biologico che permette all’individuo di adattare le proprie risposte comportamentali in virtù della regolazione e della modulazione dei propri stati interni“. Le emozioni, infatti, risultano “centrali”, non solo perché vengono regolate ma perché al contempo svolgono una funzione di regolazione tra ciò che accade fuori e dentro di noi. In questi casi è indispensabile rivolgersi a un professionista.
La Sindrome della capanna non è un vero e proprio disturbo, ma potrebbe, nella maggior parte dei casi, essere uno stato di disagio legata al momento, per cui possono essere utili una serie di consigli e strategie per gestire tali difficoltà.
Innanzitutto sembra fondamentale parlare di Resisilienza, ovvero della propria capacità di fronteggiare le difficoltà della vita e delle varie situazioni che quest’ ultima presenta. Quando si parla di resilienza non si può trascendere il concetto di “adattabilità” che presuppone, in maniera evolutiva, la capacità di una persone di adattarsi a momenti e ambienti, ed è importante sottolinerare che né la resilienza, né l’adattabilità sono processi automatici, ma presuppongono un momento iniziale di smarrimento e di successiva conoscenza ed esplorazione del nuovo momento o del nuovo ambiente. Importante è dunque la conoscenza reale dei fattori dei rischi e soprattutto dei fattori di protezione di cui può disporre una persona per sentirsi al sicuro anche fuori la propria comfort zone, quindi dei dispositivi di sicurezza quali guanti e mascherine e il distanziamento sociale. La conoscenza del pericolo e degli eventuali meccanismi di protezione da adottare rende le persone meno vulnerabili e le aiuta a recuperare padronanza di se stessi.
Altrettanto importante è mantenere il contatto con le proprie emozioni: essere consapevoli dei propri stati motivi,dare un nome alle emozioni specifiche ed attraversarle aiuta ad abbassare il livello di tensione dell’emozione stessa. Può essere importante raccontarle, anche quelle più spiacevoli, senza allontanarle, solo in questo modo possiamo mantenere il controllo di noi stessi.
Manteniamo le buone abitudini che abbiamo che abbiamo intrapreso nel periodo di lockdown e dedichiamo tempo a noi. Consideriamo quello che per noi è importante, ciò che rende la nostra vita ricca di valore e di senso e mettiamo in atto ogni giorno azioni concrete per vivere una vita piena di significato senza dimenticarci mai di essere responsabili verso noi stessi e verso gli altri.