CASTELCIVITA. “Parla loro con tenerezza. Lascia che ci sia gentilezza sul tuo volto, nei tuoi occhi, nel tuo sorriso, nel calore del nostro saluto. Abbi sempre un sorriso allegro. Non dare solo le tue cure, ma dai anche il tuo cuore.” Emilio Costaintino, di Castelcivita, cita Madre Teresa di Calcutta per descrivere l’atteggiamento che in questa fase di emergenza ha dovuto assumere per lavorare in prima linea contro il coronavirus. Operatore Socio Sanitario presso il reparto di rianimazione dell’ospedale Ruggi di Salerno, Costantino ha visto da vicino la pericolosità e le conseguenze di questo virus.
«Ho ricevuto la comunicazione il giorno 20 Marzo 2020 e alla lettura della richiesta di assunzione per Emergenza covid-19 sono andato nel panico totale e non sapevo cosa fare così iniziò una guerra interiore tra me e me ma il mio lato di solidarietà e umanità che da sempre mi accompagna ha avuto subito il sopravvento e così ho accettato . In quel periodo prestavo servizio come autista-soccorritore 118 e parlando con medici e infermieri mi hanno spronato ancora di più ad accettare e intraprendere questo nuovo cammino e così il giorno 23 Marzo 2020 mi ritrovo nel reparto di rianimazione da solo insieme ad altri colleghi chiamati anche loro per l’emergenza e sulle nostre facce si leggeva benissimo la paura e lo stato di stress», racconta l’operatore sanitario. I primi momenti sono stati vissuti non senza difficoltà, nonostante la vicinanza e il sostegno di altro personale: « Mi viene consegnato il kit per avvicinarmi al paziente covid non sapevo da dove iniziare se dalla tuta, dalla maschera, dai guanti sembravo un bambino ai primi passi e così il calore del gruppo mi avvolse e mi sentii subito parte integrante mi aiutarono nella vestizione guanti, calzari, tuta, maschera, visiera, camice sterile ed ecco che ero pronto per approdare sulla luna».
Così Emilio Costantino inizia la sua avventura nel reparto Covid del Ruggi: «sembravo un gladiatore nell’arena, un grande stanzone con 10 box e al centro 3 grandi tavoli sentivo il mio respiro farsi sempre più profondo e pesante per via della maschera e visiera, il sudore scendeva lungo la mia schiena ero a tu per tu con il virus si proprio lui e li ritornò in me lo spirito di solidarietà e iniziai con il gruppo la mia battaglia si una vera è propria battaglia perché su quel fronte si sfidano vita e morte».
Un’esperienza indimenticabile e che lo ha segnato: «Ho visto in questo periodo persone perdere la battaglia ma anche persone vincerla. Abbiamo pianto di dolore e paura ma pianto anche di gioia nel vedere persone uscire da quell’arena. Ho vissuto quasi due mesi in autoisolamento per paura di essere contagiato e contagiare successivamente i miei familiari e la mia ragazza, sono stato classificato da alcune persone come appestato ma non dico niente a riguardo perché capivo le loro paure. Ho lasciato tutto e tutti per combattere questa battaglia al covid-19».
Ora che si torna alla normalità l’operatore socio-sanitario vuole ringraziare quanti gli sono stati accanto: «in primis la mia ragazza Jessica che mi ha supportato e sopportato i miei sbalzi di umore in questo periodo di pandemia, la mia famiglia che nonostante la lontananza non mi ha fatto mancare il calore che una famiglia può trasmettere. Infine voglio ringraziare tutto lo staff del reparto di rianimazione dell’Ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona nonché i colleghi del mio turno che dal primo giorno mi hanno accolto e fatto sentire come in una vera e propria famiglia, da loro ho acquisito molte tecniche di lavoro che andranno ad arricchire il mio carrello di esperienze lavorative». «Grazie Direttore per avermi dato la possibilità di testimoniare a tutti la mia esperienza perché il nostro non è un lavoro ma una missione e se fatta con il cuore sarà splendente a gli occhi di Dio, non amo ringraziamenti o essere chiamato “supereroe” i supereroi usano i poteri noi no…noi usiamo semplicemente le mani, la testa ma soprattutto ci mettiamo il cuore. Questo è il nostro lavoro», conclude.