Erano le 19:34 del 23 novembre 1980 quando un terremoto di magnitudo 6.9 sconvolse l’Irpinia

Un terremoto di magnitudo 6.9 alle ore 19:34 del 23 novembre 1980, sconvolse l'intera Campania, Basilicata e soprattutto l'Irpinia

Di Redazione Infocilento

Era una tranquilla domenica sera. In tv andava la differita di Inter – Juventus. All’improvviso un boato, poi il buio. La terra tremava, era impazzita, le pareti di casa sembravano toccarsi; più di un minuto di terrore, la gente stordita era in strada, tutti a correre. Erano le 19.34 del 23 novembre 1980.

Una frazione di secondo prima della fine, erano le 19:30 del 23 novembre 1980, una scossa di 1 minuto sconvolse tantissime vite

Una data segnata dalla tragedia, dalla catastrofe – 280.000 sfollati, 8.848 feriti e 2.914 morti. La Campania, il Cilento, il Vallo di Diano, parte della Basilicata e soprattutto l’Irpinia erano in ginocchio, disarmati dinanzi a cotanta ferocia dettata dalla natura.

Emblematico è rimasto il titolo del Mattino di Napoli del 26 novembre, tre giorni dopo il terremoto, con il grido FATE PRESTO in prima pagina. Quel titolo è diventato addirittura un’opera d’arte.

Per novanta interminabili secondi la terra tremò senza pietà. Morirono bambini, anziani, donne, uomini. Non morì la speranza dei tanti soccorritori, che dopo il drammatico ma al contempo duro appello in tv del Presidente della Repubblica Sandro Pertini, si rimboccarono le maniche e si recarono nelle zone colpite dal sisma.

Sul posto si recò l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini

Il presidente della Repubblica, Sandro Pertini, infatti, si recò di persona sul luogo del sisma, per rendersi conto delle conseguenze prodotte: dal suo elicottero osservò un mare di macerie che si estendeva per chilometri, lì dove prima sorgevano case, scuole, chiese ed edifici pubblici. Un paesaggio spettrale rotto dalle urla di madri che chiamavano i figli e dalle comunicazioni tra i soccorritori alla disperata ricerca di sopravvissuti.

La comunità che paga il prezzo di sangue più alto è quella di Sant’Angelo dei Lombardi: 482 vittime e il 90% del tessuto urbano raso al suolo. Un paese sparito d’un colpo come tanti altri.

Dalla primavera del 1981 partirà la ricostruzione, ma un altro amaro capitolo si aprirà per la storia di queste terre e della nazione tutta: la pioggia di miliardi di vecchie lire, versata dalle casse dello Stato, sarà intercettata dalla meschina volontà di speculazione di un’ampia parte della politica, in combutta con la criminalità organizzata locale.

Si respirava solo morte e distruzione, le testimonianze

Passarono i mesi, gli anni, la speranza era animata dalle promesse e dal fiume di denaro che arrivava per la ricostruzione ma, aimè, scivolava via come un’anguilla in un torrente.

Dopo oltre 40 anni, siamo ancora qua a guardare l’orizzonte, aspettando la completa ricostruzione che si è arenata nella burocrazia di un’Italia sconfitta ancora una volta dalla sua politica senza ragione.

Sul terremoto dell’Irpinia è intervento anche il presidente della Provincia Michele Strianese

«La capacita che abbiamo avuto di risollevarci da quel terribile momento ci deve guidare a rialzarci da un’altra ferita profonda: una pandemia che ha fatto vittime innocenti, che ha distrutto un tessuto sociale ed economico, sulla quale quindi siamo chiamati tutti a intervenire con grande responsabilità.

Come siamo ripartiti dopo il terremoto del 1980 così dobbiamo ripartire ora. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) affida a Province e Comuni il compito di programmare e gestire gli interventi che verranno finanziati per i territori. Ognuno di noi con il proprio ruolo, è chiamato in causa. Dobbiamo lavorare tutti compatti non solo per tutelare la salute pubblica dei nostri cittadini, ma per il futuro e il bene comune di donne e uomini, di lavoratori e famiglie.

Abbiamo superato un terremoto terribile che ha segnato la nostra storiaconclude Strianesesono fiducioso che sapremo ricostruire e risollevarci anche dalla pandemia, a sostegno delle nostre comunità. Noi come Provincia di Salerno ci siamo»

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