Solo tutelando i valori UNESCO dell’Area Parco si tutelano effettivamente i valori UNESCO di Paestum

Di Redazione Infocilento

Preliminarmente un saluto a tutte le autorità, le personalità e le persone presenti, anche a nome del Presidente della Delegazione Autonoma Salernitana, il dottor. Antonio Asprone, il quale si trova a rendere i suoi servigi presso l’Università di Cambridge e di cui sono chiamato a fare da vicario. Quindi un ringraziamento all’organizzazione per la sensibilità dimostrata nel riconoscere spazio a questo tavolo, oltre alla rappresentanza nazionale nella persona della dott.ssa Anna Scalise anche alla Delegazione Autonoma Salernitana della Società Italiana per la Protezione dei Beni Culturali, ciò per il ruolo fondamentale che queste svolgono suo territori; non essendo queste infatti delle articolazioni periferiche bensì di prossimità e che, per tale motivo, in maniera più aderente e consapevole riescono a far fronte alle specificità delle ragioni di tutela, di valorizzazione, di patrimonializzazione dei beni culturali. Sul punto il Sindaco Alfieri nel suo saluto ha utilizzato un’espressione chiave, “patrimonio collettivo”, che ben esprime la necessità ed il valore delle relazioni di prossimità rispetto ai beni culturali, con la creazione di nessi tra sé e questi beni culturali rendendoli patrimonio collettivo, e quindi elementi identitari, elementi di infrastrutturazione individuale e superindividuale, collettiva.

La prima Società nazionale per la protezione dei beni culturali nasce nel 1964, in Svizzera, con lo scopo di promuovere i principi della Convenzione de L’Aja del 1954 presso le autorità civili e militari e, nel corso degli anni diverse sono state le Società sorte in vari Paesi europei così come in Italia negli anni 90, quando sorse anche una lega a riunire tutte queste compagini nazionali. Proprio negli anni ’90, allorquando la guerra nella ex Jugoslavia vide di rinnovata attualità il tema della tutela del patrimonio culturale nei teatri di guerra, con l’Italia che vi partecipò con un pionieristico nucleo sperimentale di militari dedicati alla tutela del patrimonio culturale: ciò grazie a Fabio Maniscalco, archeologo e ufficiale dell’esercito, che tengo a ricordare anche per le circostanze che poco più di dieci anni fa hanno portato alla sua prematura scomparsa a causa dall’esposizione a metalli pesanti che ha purtroppo portato a stessa sorte anche tanti militari e da diversi figli di questa terra a patire e perire della Sindrome da Balcani. La figura di Fabio Maniscalco è stata pionieristica nella tutela del patrimonio culturale sia in tempo si guerra ma anche in tempo di pace rispetto alle quotidiane fonti di rischio a cui approntare strumenti e azioni di tutela specifici e anche di valorizzazione, quale dimensione dinamica della tutela.

LE DELEGAZIONI AUTONOME PER LA TUTELA E LO SVILUPPO DEI TERRITORI

Ciò si lega sia a quanto afferma la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sull’importanza dell’eredità culturale per le società, la cosiddetta Convenzione di Faro, ove le comunità locali, attraverso la patrimonializzazione dei beni culturali, si fanno “heritage community” ed indirizzano, sollecitano, promuovono pratiche e politiche pubbliche attorno al patrimonio culturale materiale e immateriale. Ciò in linea poi con quanto affermato già dalla Convenzione europea del paesaggio ove, nel definire gli obiettivi di qualità paesaggistica, fa emergere il valore costitutivo delle aspirazioni delle popolazione nella definizione delle politiche pubbliche.  E in tale dimensione diretta, di prossimità, si collocano le azioni delle locali Delegazioni Autonome della Società Italiana per la Protezione dei Beni Culturali, non quali terminali periferici di un sistema monocentrico che si collocano nei territori quali elementi esterni ed estranei, bensì attori prossimi o addirittura interni ed integrati delle comunità locali in cui esercitano funzione di mediazione tra le varie articolazioni istituzionali, sociali, economiche della società rispetto al patrimonio culturale materiale ed immateriale, facendo attività non solo di monitoraggio per fini di tutela anche di sollecitazione, indirizzo, sostegno e promozione e valorizzazione delle risorse culturali, oggi più che mai asset strategici per lo sviluppo dei territori. 

PAESTUM,  LA PROTEZIONE RAFFORZATA E LA CONVENZIONE DEL 1972

Per quanto possa sembrare lontano tutto ciò rispetto ai meccanismi di tutela in tempo di guerra pongo un esempio concreto. Ipotizziamo che si voglia avviare qui a Paestum un percorso per la applicazione della Protezione rafforzata così come disciplinata dal Secondo protocollo del 1999 della Convenzione de L’Aja del 1954. Ebbene secondo tale Protocollo un requisito per la protezione rafforzata consiste nell’essere quel bene di eccezionale valore, così come individuato dalla normativa nazionale di riferimento. Ora rileva subito come Paestum si trovi a rivestire un “eccezionale valore universale” in quanto iscritta nella World Heritage List dell’UNESCO, di cui alla Convenzione di Parigi del 1972 ma, a ben vedere, Paestum non è un autonomo sito UNESCO, poiché ad essere iscritto non sono i templi o l’area archeologica bensì il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano (ora anche Alburni). Non un riconoscimento di un sito  o seriale storicamente rilevanti, bensì un riconoscimento d’area nella categoria dei “paesaggi culturali”. Quindi la domanda da porci dovrebbe essere, nel caso di apposizione dello scudo della tutela rafforzata al sito archeologico pestano, questo strumento tutelerebbe realmente l’eccezionale valore così come richiesto dal Secondo protocollo? A dire il vero no, non completamente, poiché il sito archeologico di Paestum non è esaustivo di quell’eccezionale valore che viene riconosciuto dall’UNESCO non a Paestum in quanto tale ma all’area PNCVDA poiché Paestum non è un sito UNESCO ma è parte di un sito UNESCO più grande. Di tal guisa emerge come la tutela rafforzata del Secondo Protocollo, quale tutela rafforzata un valore eccezionale, dovrebbe essere indirizzata a tutti – o comunque a tanti- di quegli elementi che definiscono l’area PNCVDA quale area di “eccezionale valore universale” secondo la Convenzione UNESCO del 1972. Ciò significa che per tutelare integralmente quell’eccezionale valore universale la tutela rafforzata limitata a Paestum non tutelerebbe nemmeno Paestum poiché, l’eccezionale valore universale, secondo la iscrizione nella UNESCO-WHL, non si è esaurisce in Paestum e Paestum non è da solo sufficiente ad esprimere eccezionale valore universale. Quindi per tutelare Paestum e l’ambito di eccezionale valore in cui si inserisce, significa tutelare tal quali la Grotta del Poggio di Camerota con le sue evidente preistoriche, oppure ancora l’Antece o i siti archeologici della Molpa, della Civitella, di Roccagloriosa, di Roscigno, o ancora le evidenze del monachesimo italo-greco, le fortificazioni costiere, chiese e cappelle, centri storici come quello di Laurino etc.

UN QUADRO TERRITORIALE COMPLESSO DI BENI, ATTORI E RESPONSABILITÀ

Una congerie complessa e articolata di beni che definiscono i caratteri dell’eccezionale valore universale riconosciuto dall’UNESCO con l’iscrizione dell’Area Parco nella World Heritage List quale “paesaggio culturale” (e non come “bene misto” come spesso purtroppo si indica, dal momento che i criterion usati dall’UNESCO sono solo culturali e non anche naturali come originariamente proposto nel dossier di candidatura). Un quadro complesso di elementi con diversi e molteplici centri decisionali e livelli di responsabilità con cui si inserisce come facilitatore, promotore e sollecitatore la Delegazione Autonoma Salernitana. Sul punto questa Delegazione vuol rafforzare i legami con il Comune di Capaccio, che ha avuto un ruolo chiave nella promozione del percorso che più di 20 anni fa portò alla iscrizione nella WHL e con cui già abbiamo collaborato per la applicazione dello Scudo Blu, e con il Parco Archeologico di Paestum e Velia, nella persona della direttrice Tiziana D’Angelo, che auspichiamo incontrare quanto prima per portare avanti diverse iniziative, e con l’Università di Salerno, qui oggi rappresentata dal Prof. Carmine Pinto che, ai miei occhi, rileva non solo per il suo cursus e il suo spessore ma anche per le sue origini, essendo egli di Padula, luogo fondamentale con la meravigliosa Certosa di San Lorenzo per la definizione di questo nostro eccezionale valore universale riconosciuto sotto l’egida della Convenzione UNESCO del 1972 sul patrimonio mondiale.

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