SALA CONSILINA. Presenta domanda di sanatoria per un abuso edilizio realizzato nella propria abitazione il comune accoglie la richiesta ma interviene la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Salerno e Avellino non concede il parere favorevole per l’accoglimento della domanda e di conseguenza il Comune ritorna sui suoi passi e respinge l’istanza di sanatoria.
16 anni per un’istanza di sanatoria: il caso
Tutto ciò sembrerebbe il normale iter di una pratica edilizia se non fosse per il fatto che la vicenda è caratterizzata dalla lentezza della macchina burocratica e si è conclusa a distanza di ben 16 anni dalla presentazione della domanda per sanare l’abuso. Il proprietario dell’immobile per far valere le sue ragioni è stato costretto a ricorrere al TAR.
La vicenda
Tutto ha avuto inizio nel 2004 quando la proprietaria dell’immobile adibito a propria abitazione ha presentato un’istanza di sanatoria per aver realizzato l’opera in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
Il Comune, dopo aver ottenuto, a distanza di 16 anni, nel 2020, il parere favorevole della Commissione per il Paesaggio, trasmetteva gli atti per il relativo parere alla Soprintendenza che comunica il proprio parere negativo all’accoglimento della domanda in conseguenza del quale arriva il rigetto della stessa anche da parte del Comune. Rigetto che però non ha alcun valore perché entra in gioco ancora una volta la lentezza, questa volta quella della Soprintendenza che per legge avrebbe dovuto fornire il parere entro 45 giorni dalla ricezione della documentazione ed invece lo fa dopo quasi 90 giorni.
La decisione del Tar
Il TAR ha accolto il ricorso presentato dall’avvocato Federico Maggio dichiarando illegittimi il parere della Soprintendenza ed il successivo diniego comunale dell’istanza di permesso in sanatoria perché “la manifestazione consultiva dell’organo preposto – si legge nella sentenza – è tardiva, resa, cioè, ben oltre il termine legalmente stabilito dei 45 giorni, configurando la formazione del silenzio assenso. E’ illegittimo lo stesso successivo diniego comunale, atteso che lo stesso invece di adeguarsi al silenzio assenso o sollecitare l’autotutela da parte della Soprintendenza, ha fondato la propria motivazione unicamente sulle risultanze di un parere negativo privo, perciò solo, di qualsivoglia rilevanza giuridica”.