26 dicembre: Santo Stefano, protomartire

La storia, il culto, la festa del santo venerato anche nel Cilento

Di Concepita Sica

La festa di Santo Stefano è solennemente celebrata nella Chiesa cattolica, nella Chiesa ortodossa (anche se collocata al 27 dicembre) e persino in alcune chiese protestanti. In diversi Paesi europei in questo giorno è festa nazionale. 

Il protodiacono viene celebrato al 26 dicembre, ovvero subito dopo il Natale, perché nei giorni successivi alla celebrazione della nascita di Cristo vengono posti i “comites Christi”, cioè coloro il cui percorso di vita è stato più vicino a quello del Signore Gesù e che sono stati i primi a renderne testimonianza con il martirio.

È il patrono dei diaconi, dei tagliapietre e dei muratori ed è invocato per i dolori causati dai calcoli (mal di pietra, appunto) e per il mal di testa.

Notizie biografiche sul Santo 

Santo Stefano è il protomartire, ovvero il primo cristiano ad aver dato la vita come testimone della sua fede in Cristo. Infatti, proprio per il fatto di essere il primo cristiano a ricevere il martirio, viene ricordato il 26 dicembre, il giorno dopo la nascita di Cristo, per esprimere meglio, simbolicamente, la vicinanza tra i martiri, che hanno testimoniato la fede fino al sacrificio, e Cristo.

Il martirio di Santo Stefano è descritto nel libro degli Atti degli Apostoli ed avvenne per lapidazione, alla quale sembra abbia partecipato anche Saulo di Tarso (San Paolo), prima della conversione.

«Lo trascinarono fuori dalla città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero i loro mantelli ai piedi di un giovane chiamato Saulo» (Atti 7,58).

Gli storici hanno fissato la data della sua morte nel 36 d.C., sulla base della modalità con cui avvenne: per lapidazione (procedura usata nell’ambiente giudaico) e non per crocifissione (metodo maggiormente usato dai romani). La data del 36 potrebbe riferirsi ad un periodo di vuoto amministrativo seguito alla deposizione di Ponzio Pilato avvenuta per l’eccesso di violenza impiegato per domare la rivolta del monte Garizim. Gli studiosi hanno pensato che forse in quel periodo il “potere” possa essere stato esercitato dal Sinedrio (massimo organo giuridico ebraico) che eseguiva le condanne a morte mediante la lapidazione.

Negli Atti degli Apostoli si dice che Stefano si era inimicato alcuni liberti, cosiddetti perché forse discendenti di quegli Ebrei, schiavizzati da Pompeo nel 69 a.C. e che in seguito avevano ottenuto la libertà.

Non si hanno a disposizione molte notizie biografiche per poter ricostruire minuziosamente la sua vita. Non si conoscono infatti né il luogo e né l’anno esatto della sua nascita. Si suppone fosse di origine greca, per via del suo nome (il greco Stéphanos significa “coronato”). Si pensa anche che possa trattarsi di un ebreo educato nell’ambito della cultura ellenistica.

Viene nominato diacono, come riferito negli Atti degli Apostoli, per occuparsi del “servizio alle mense”. Poiché il numero dei cristiani cresceva di giorno in giorno, gli Apostoli non riuscivano a dedicarsi contemporaneamente alla predicazione ed alle opere di carità; così tra gli Ebrei di lingua greca sorse un malcontento per la mancata assistenza alle vedove. Gli Apostoli, allora, si riunirono per trovare una soluzione e così affidarono le opere caritative ad un gruppo di sette persone, scelte per la loro buona reputazione, che diventarono “diaconi” (diaconia in greco vuol dire “servizio”). Vennero pertanto eletti: «Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, PròcoroNicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiochia» (Atti 6,5). Gli Apostoli pregarono su di loro ed imposero le mani conferendo loro il ministero diaconale (l’imposizione delle mani è un gesto, ampiamente testimoniato nella Bibbia, col quale si esprimeva il conferimento di un incarico).

Stefano, pieno di grazia e di fortezza, svolgeva il suo ministero con grande ardore e zelo e compiva anchegrandi prodigi in mezzo al popolo, non limitandosi al solo servizio caritativo ma impegnandosi pure nella predicazione. L’opera evangelizzatrice era rivolta principalmente agli Ebrei della diaspora che transitavano per Gerusalemme. Le numerose conversioni che seguivano causò l’invidia degli Ebrei ellenistici che sobillarono il popolo accusando Stefano di «pronunciare espressioni blasfeme contro Mosè e contro Dio» (Atti 6,11). Gli anziani del popolo e gli scribi si adoperarono affinché venisse catturato e trascinato davanti al Sinedrio, per essere giudicato. Un buon numero di falsi testimoni dichiarò di averlo udito usare parole dispregiative contro il Tempio e contro la Legge e di aver affermato che Gesù avrebbe distrutto quel luogo sacro e cambiato le tradizioni di Mosè. Il sommo sacerdote domandò al giovane portato al suo cospetto se le cose stavano veramente così. Egli, allora, pronunciò un lunghissimo discorso, il più lungo degli Atti degli Apostoli, nel quale, dopo aver ripercorso gli avvenimenti più significativi della Storia del Popolo d’Israele, metteva in evidenza la durezza di cuore con cui gli Ebrei avevano risposto agli interventi di Dio in loro favore. Alle parole di Stefano: “testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo” (Atti 7,51) l’odio e l’astio dei presenti crebbe a dismisura. Ispirato, poi, dall’alto, il giovane alzando gli occhi al cielo disse: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio» (Atti 7,56). All’udire quelle parole molti si tapparono gli orecchi, altri, poi, elevando grida altissime, in un gran tumulto e furore di popolo, lo trascinarono fuori dalla città e presero a lapidarlo con le pietre. Mentre veniva colpito dai sassi Stefano pronunciava preghiere di supplica e di perdono: «Signore Gesù accogli il mio spirito» (Atti 7,59); «Signore, non imputare loro questo peccato» (Atti 7,60). San Luca, autore, oltre che del Vangelo, anche degli Atti degli Apostoli, sottolinea così una certa somiglianza tra gli ultimi istanti della vita del protomartire e quelli di Gesù.

L’ultima notizia certa relativa a Santo Stefano riguarda la sua sepoltura ed è contenuta sempre nel libro degli Atti, dove si dice che «uomini pii seppellirono Stefano e fecero gran lutto per lui» (Atti 8,2). Evidentemente per non lasciare il corpo del giovane diacono preda delle bestie selvatiche, come era consuetudine, alcunepersone, mosse a pietà, si premurarono di dargli una degna sepoltura.

Il ritrovamento delle reliquie del Protomartire

Si racconta che nella notte del 3 agosto del 415 un sacerdote di nome Luciano di Kefar-Gamba (Caphargamala, cioè “casa di campagna di Gamaliele”) ebbe l’apparizione di un uomo anziano, con la lunga barba bianca, vestito con abiti liturgici, e con in mano una bacchetta d’oro, con la quale toccò il sacerdote chiamandolo per nome per tre volte. In questa visionel’uomo canuto svelò di essere dispiaciuto perché lui ed altri compagni erano stati sepolti senza onore e chiedevano, pertanto, di essere sistemati in un luogo più decoroso. Alla domanda del presbitero Luciano, circa la sua identità, l’anziano rispose di essere il saggio Gamaliele (dottore della Legge, maestro anche di San Paolo) e che i compagni di sepoltura erano il protomartire Stefano, che egli aveva fatto seppellire nel suo giardino, Nicodemo e Abiba, figlio di Gamaliele. Poi indicò al presbitero il luogo in cui erano stati sepolti. Così, con il consenso del vescovo di Gerusalemme, si iniziò lo scavo che condusse al felice ritrovamento delle reliquie, proprio come indicato nella visione dal dottore della Legge. La notizia della scoperta si diffuse rapidamente e cominciò anche lo spargimento delle reliquie un po’ ovunque. Buona parte del corpo venne traslata nella Chiesa di Sion a Gerusalemme. 

Nel 425 sant’Agostino, durante un discorso, riferiva che nel tempo successivo al ritrovamento del corpo di santo Stefano a Gerusalemme si sarebbero verificati numerosi miracoli e che il solo contatto con la polvere della tomba avesse prodotto inspiegabili guarigioni. Il santo d’Ippona raccontava altresì di un’antichissima “memoria di santo Stefano” esistente ad Ancona e risalente all’epoca del martirio, sorta in seguito all’arrivo in città di un marinaio che avrebbe assistito alla lapidazione di santo Stefano, testimoniandone ulteriormente la fede ed il coraggio.

Nel XIII secolo i crociati fecero grande razzia delle reliquie del Santo martire e questo spiega la massiccia presenza di resti sacri in diverse parti d’Europa.

La storia delle reliquie del Protomartire (in particolare del ritrovamento, della prima traslazione a Costantinopoli e della seconda traslazione a Roma) sono ampiamente raccontate nella “Legenda Aurea” (detta anche “Legenda sanctorum”), uno scritto di Iacopo da Varazze (1228-1298), frate domenicano, scrittore sacro e storico, nonché arcivescovo di Genova.

Il culto

Santo Stefano è venerato in moltissime chiese europee; in Serbia è addirittura patrono del Paese. Ma è soprattutto in Italia che si registra una maggiore presenza. Vi sono ben quattordici comuni italiani che portano il nome del Santo. Numerose chiese, basiliche, cappelle sono state edificate in suo onore (soltanto a Roma se ne contano una trentina). Innumerevoli parrocchie sono intitolate a lui ed il numero dei patrocini è sconfinato.

Raffigurato con addosso la dalmatica (veste liturgica propria dei diaconi) di colore rosso (colore riferito ai martiri che pur di non rinnegare la propria fede in Cristo hanno sparso il loro sangue come fece Cristo nella sua passione), l’immagine del Protomartire presenta nella mano sinistra una palma (simbolo del martirio) ed un libro che potrebbe essere il Vangelo (la cui predicazione ne causò la morte) oppure il libro degli Atti degli Apostoli in cui è narrato il suo martirio; inoltre sono presenti delle pietre, indicate dalla mano destra, che spiegano la modalità della sua morte.

La festa

La festa nazionale di santo Stefano viene introdotta dallo Stato italiano nel 1947, probabilmente per consentire un più sereno svolgimento della festa del Natale.

Nella Chiesa la festa del protomartire è da sempre celebrata con grande attaccamento.

La devozione verso Santo Stefano è particolarmente viva nella comunità di Sessa Cilento. Si tratta di una venerazione veramente tipica ed esclusiva, non si conoscono, infatti, altre comunità cilentane che abbiano come santo patrono il Protomartire Stefano. Si ipotizza che il culto del Santo possa essere stato introdotto nella comunità, in epoche non precisate, da qualche funzionario governativo o da qualche notabile. Di sicuro ha creato un legame forte con la comunità così da intitolarne la parrocchia ed eleggere santo Stefano come Patrono.

Nelle calde sere di luglio, che precedono la celebrazione della festa, i fedeli, animati da profonda ed antica fede, intonano ferventi ed accorati canti e suppliche in onore del santo patrono.

“O Stefano glorioso,

o Stefano trionfante

che a Dio donasti il sangue

deh pregalo per me”.

Nella vita del protomartire cristiano, diaconia e testimonianza, nel servizio di Dio e dei fratelli, formano una sola cosa. Possa il glorioso esempio di autentica vita cristiana realizzato da Santo Stefano illuminare l’agire dei credenti e risolversi in una convinta testimonianza dei valori del vangelo ed in una ricca diaconia, nelservizio ai più bisognosi.

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