Chi l’avrebbe mai detto che Castellabate, località cult del film “Benvenuti al Sud”, oggi una delle perle del Cilento turistico, fosse stata in passato anche un porto di partenza per migliaia di emigranti diretti nel Nord e Sud America? Eppure, gli studi condotti in questi ultimi tempi, al di là di quanto è stato scritto per l’emigrante simbolo di questa terra, il Conte Francesco Matarazzo (Castellabate, 1854 – San Poalo del Brasile, 1937), quasi mai aveva analizzato tale aspetto, forse ritenendo che, se non altro all’indomani dell’unificazione nazionale del 1861, fosse già attiva in Agropoli la stazione delle Regie Ferrovie dello Stato, la quale avrebbe potuto collegare il Cilento costiero con Napoli, porto di partenza dei famosi “Bastimenti”, destinati a raggiungere «terre assai lontane».
In realtà non fu proprio così, ricordando che l’apertura alla circolazione della Stazione di Agropoli (che si andava a sommare alle altre stanziate sino a Sapri) risale solo al 4 giugno del 1883, epoca nella quale i Cilentani erano giunti in Argentina già da qualche decennio. Castellabate, o meglio Santa Maria di Castellabate, sede di due storici porticcioli, fu dunque il luogo di partenza di tante «misere vite», fiaccate da un processo di unificazione nazionale che non gli era stato completamente favorevole: vite che rischiarono le insidie dell’Oceano Atlantico pur di tentare una nuova e più decorosa esistenza.
Per molti anni s’è pensato e scritto, almeno riguardo all’emigrazione in Sud America, che la maggior parte dei nostri conterranei, sin dai primi anni post unitari, si fosse recata in Brasile, allora retto ancora sotto forma di Impero, un Paese enorme caratterizzato da mille risorse economiche, oltre che da terre generosissime, che certamente avrebbero consentito ai nostri contadini di «sbarcare il lunario» nelle estesissime “fazendas”.
Nel riservare ad un prossimo articolo l’origine vera dell’emigrazione Cilentana in Brasile, affronteremo con questo articolo l’emigrazione Cilentana in Argentina, anch’essa terra ospitale e ricchissima, con la quale già il Regno delle Due Sicilie aveva allacciato rapporti commerciali, tanto da istituire delle vere e proprie rotte marittime che collegavano Napoli al Rio della Plata. Anche se è vero che il primo Stato pre-unitario italiano ad allacciare rapporti diplomatici con l’Argentina fu il Piemonte (anno 1836), è altrettanto vero che fu, invece, la marineria mercantile delle Due Sicilie a dar vita a quell’interscambio commerciale che avrebbe condotto lungo le rive del Rio de la Plata non pochi meridionali. Dopo l’unificazione del ’61, quando l’Argentina era Presieduta dall’illuminato Generale Bartolomé Mitre, sincero amico degli italiani e del Generale Garibaldi, il Regno d’Italia non fece altro che confermare i precedenti accordi, stilati nel 1855 sotto forma di “Trattato di amicizia, commercio e navigazione”, in virtù del quale i due Paesi si sarebbero reciprocamente scambiati non solo merci, evidentemente, ma anche programmi di cooperazione che prevedevano il ricorso massiccio alla manodopera italiana, peraltro rilevatasi altamente utile costruttiva per l’ammodernamento e il progresso della stessa Argentina, sotto tutti i punti di vista.
Ecco, dunque, spiegato il perché anche da Castellabate partirono, via mare, provenienti da vari Comuni del Cilento, centinaia di uomini, donne e bambini diretti a Napoli, prima tappa del ben più faticoso attraversamento dell’Oceano.
A traghettare quelle vite verso l’ex Capitale del Regno delle Due Sicilie erano spesso i bastimenti di proprietà del Principe di Belmonte, Marchese di Castellabate, che già da decenni affrontavano giornalmente la navigazione in cabotaggio, dovendo trasferire a Salerno e a Napoli i prodotti della stessa Azienda Agricola di proprietà del nobile Cilentano. Ciò almeno sino al 1883, come ricordavamo prima, allorquando l’emigrazione dal Cilento ebbe luogo dalla Stazione di Agropoli e da quella di Vallo della Lucania, volendo ricordare le più importanti.
Ma i porti di Castellabate non cessarono affatto la loro funzione mercantile. Anzi, ancora agli inizi del 900 troviamo la nostra Castellabate al centro dei traffici commerciali diretti con il Sud America, tanto è vero che nel “Bollettino Ufficiale del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio” edito nel 1905, apprendiamo (cfr. pag. 345), nell’ambito di un capitoletto riguardo alla produzione vinicola del Circondario amministrativo di Vallo della Lucania, che: «I vini relativi si esportano largamente e principalmente nell’America Meridionale (Argentina e Brasile) pel tramite dello scalo marittimo di Castellabate […]».
Secondo una statistica molto spesso riportata nei libri di storia dell’emigrazione, tra il 1870, anno in cui si diede luogo alla prima grande “diaspora” dall’Italia verso le Americhe, e il 1960, furono oltre 2 milioni i nostri connazionali emigrati in Argentina. Ancora oggi, gli italiani d’Argentina rappresentano la seconda più grande Comunità diasporica italiana nel mondo, dopo quella del Brasile. Fra questi (basterebbe visionare gli elenchi telefonici della sola Buenos Aires) sono molti gli oriundi con il classico cognome Cilentano, compresa la famiglia Severino – alla quale mi onoro di appartenere – un cui rappresentante, Domenico Severino (Castellabate, 16 settembre 1800 – Buenos Aires, 27 maggio 1882), giunse lungo le rive del Rio della Plata nei primi anni ’40 dell’Ottocento, in quanto marittimo delle Due Sicilie, per poi rimanere in zona da combattente dell’eroica Legione Italiana di Montevideo, reparto il quale, sotto la guida di Giuseppe Garibaldi si sarebbe battuto nell’ambito della guerra civile che avrebbe contrapposto gli uruguayani agli argentini, a partire dal 1843. Dopo la fine della guerra e l’esilio del dittatore Rosas in Inghilterra (1852), Domenico Severino si fermò a vivere nella bellissima Capitale bonearense, dando così vita ad uno dei vari rami della famiglia.
L’ultimo discendente che sono riuscito a individuare portava il suo stesso nome e morì a Buenos Aires nell’aprile del 1912, come rapportò un’apposita Circolare del Ministero degli Affari Esteri (cfr. Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 146, del 21 giugno 1912, pag. 3642), dalla quale la famiglia in Italia apprese evidentemente la ferale notizia. Torniamo alla nostra vicenda, ricordando che, attorno al 1883, il fenomeno dell’emigrazione clandestina era diventato una vera e propria piaga sociale, tanto da coinvolgere migliaia e migliaia di poveri disoccupati, provenienti da ogni angolo del Paese, alla mercé di organizzazioni delinquenziali e di speculatori. Ciò indusse il Ministero degli Interni a varare alcuni severi provvedimenti di polizia, fra i quali una circolare con la quale furono dettate norme molto severe, anche se utilissime per disciplinare e tutelare l’emigrazione fuori dall’Europa (trattasi della Circolare n. 11900 A del 6 gennaio 1883 del Ministero dell’Interno – Direzione dei Servizi di Pubblica Sicurezza).
Fu proprio in tale contesto storico che anche nel Circondario di Vallo della Lucania apparve una nuova «figura professionale», quella del c.d. “Agente per l’emigrazione”. Ebbene, dalla “Statistica della Emigrazione Italiana per gli anni 1884 e 1885” (Roma, Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, 1886, pag. 167) apprendiamo che nel territorio che stiamo esaminando vi era un’importante Agenzia nella stessa Vallo, con succursale a Salento, così come altre Agenzie erano già attive sia a Castellabate che a Cuccaro Vetere. La pratica dell’emigrazione fu, infine, sanata nel 1888, allorquando fu emanata, il 30 di dicembre, la prima legge sull’emigrazione, con la quale fu sostanzialmente fissata la liberta di emigrare e riconosciuta ufficialmente. Ed è proprio grazie alla “Statistica…” del 1886 che siamo riusciti ad individuare i Comuni Cilentani che, ancora in quel frangente, «offrivano mano d’opera» all’Argentina. Ebbene, fra il 1882 e il 1884 scopriamo che erano partiti alla volta di Buenos Aires centinaia di cittadini provenienti da Alfano, Gioi Cilento, Laurino, Licusati, Montano Antilia, Piaggine Soprane, Pollica, Roccagloriosa, Rofrano, San Giovanni a Piro, Sessa Cilento, Stio, Torchiara, Torre Orsaia e Valle dell’Angelo. Numerosi li troviamo, e sempre provenienti dagli stessi Comuni, anche negli anni seguenti, avendo fatto un raffronto con la “Statistica…” del 1888, anno in cui fu varata la citata legge sull’emigrazione, la stessa che per la prima volta indica anche le principali professioni, arti e mestieri in virtù dei quali i nostri emigranti erano stati accolti, anche in Argentina.
Si trattava, in sintesi, di agricoltori (principalmente), ma anche di muratori, calzolai, venditori ambulanti, addetti ai lavori pubblici, artisti, così come anche medici e sacerdoti. L’emigrazione verso l’Argentina non s’interruppe nei decenni seguenti, a parte la parentesi della 1^ guerra mondiale, ma certamente si ridusse drasticamente a seguito della fondazione delle nuove colonie africane. Fu solo molti anni dopo, diciamo dopo la fine della 2ˆ guerra mondiale, quando l’Argentina soccorse il nostro Paese, fornendo grosse quantitative di grano ed Evita Péron veniva amorevolmente accolta in Italia (era il 1947), che riprese l’emigrazione dal Cilento verso il Sud America, sia in Argentina che in Brasile. Essa fu però destinata a scemare già nel corso degli anni ’50, allorquando sembrò molto più agevole praticare quella verso il Nord Europa. Verso la fine degli stessi anni ’40, tuttavia, l’allora celebre “La Rivista della Cooperazione” (anno 1948, vol. 1, pag. 55) raccontò ai suoi lettori di come i pescatori di Santa Maria di Castellabate stanziati in Argentina avessero: «…creato una estesa rete di traffici e vie dal Mediterraneo all’Oceano». Era la riprova secondo la quale il Cilento non aveva interrotto i rapporti coll’ospitale Paese dell’America del Sud.
Nel concludere questo modesto contributo ricordiamo che la presenza dei Cilentani in Argentina non fu da meno rispetto a quella di altre Regioni e Provincie d’Italia. Dall’unità d’Italia in avanti essa fornì al grande Paese Sudamericano migliaia di ottime braccia, grandi artisti, affermati professionisti e docenti universitari, politici di razza ma anche uomini di Chiesa, volendo ricordare il Cardinale Antonio Quarracino, nativo di Pollica (8 agosto 1923), indimenticabile Arcivescovo di Buenos Aires: colui che il 27 giugno 1992 ordinò Vescovo quel Jorge Mario Bergoglio, oggi assurto al Soglio di Pietro come Papa Francesco, che, fra l’altro, gli successe dopo la morte, avvenuta a Buenos Aires il 28 febbraio 1998.