CILENTO. Passeggiando lungo la costa, seguendo la litoranea, da Capaccio a Sapri, ci si imbatte nella presenza delle torri costiere. Alcune sono state rimodernate e modificate rispetto alla loro originale struttura; di altre non restano che dei ruderi, ma ve ne sono anche alcune che conservano la loro pianta originale.
Si tratta di torri realizzate lungo la costa per monitorare il mare e i pericoli che sarebbero potuti arrivare durante il periodo delle invasioni barbariche del XVI e XVII secolo. Un periodo in cui la costa del Sud Italia, ed anche quella cilentana, fu soggetta ad assalti e saccheggi o anche lunghe dominazioni da parte degli arabi. Sorgeranno così queste fortificazioni realizzate a circa un miglio l’una dall’altro. A potenziare al massimo questa rete di avvistamento fu il Vicerè don Pietro di Toledo; ordinò, infatti, la costruzione di torri costiere affinché potessero essere allertate le popolazioni locali dei pericoli provenienti dal mare. Il progetto terminò nella seconda metà del secolo XVI dal suo successore, Viceré don Parafan de Ribera.
379 le torri di costiero realizzate nel Regno delle Due Sicilie, 57 in Cilento, di due generi: cavallare o di allarme, di difesa e guardiole.
Le prime erano custodite da un uomo fornito di cavallo che, in caso di pericolo raggiungeva per dare l’allarme il più vicino posto militare. L’uomo a cavallo, in particolare, aveva l’incarico di suonare la campana d’allarme incessantemente. Il secondo tipo di torri, invece, erano posizionate sulla parte alta della collina; avevano il compito di mettere in comunicazione le torri del piano con i paesi della zona circostante. Ogni torre aveva un torriere
Come ricordano Piero Cantalupo e Amedeo La Greca in “Storia delle terre del Cilento antico” a custodia delle torri erano i “torrieri, scelti tra vecchi invalidi o veterani; gli armigeri, obbligati alla guardia dal terrazzo della torre sul quale era situata una garitta necessaria al riparo degli stessi nelle stagioni rigide. Alla metà del secolo XVII si fece di tutto perché i torrieri e gli armigeri fossero scelti tra gente che sapesse leggere e scrivere; perciò, gli aspiranti, prima di essere assunti, erano sottoposti ad esame e, solo se idonei, era rilasciata loro una regolare patente.
Nelle torri, poste sulla marina, vi erano pure i rematori, addetti alla feluca di guardia. Tutto questo personale percepiva un regolare stipendio; era obbligato a risiedere nella torre o nelle sue vicinanze in modo da essere sempre e immediatamente disponibile in caso di pericolo. Severe, poi, erano le pene inflitte a coloro che non avessero compiuto scrupolosamente il proprio dovere. Di tale severità fece esperienza il caporale Felice di Lentiscosa; fu legato e appeso per due ore per mala guardia alla torre del Capo di Camerota.
A causa delle spese eccessive da sostenere per il mantenimento del personale addetto alla guardia e alla difesa delle torri, nell’anno 1722 fu abolita la carica di torriere e, in sua sostituzione, furono chiamati i militari della fanteria. Ad essi, in caso di assalto, avrebbero portato aiuto i semplici cittadini, pena la galera”.
La struttura delle torri era quadrata: di circa 10 metri ciascun lato per 0 di altezza. Vi si accedeva con un ponte levatoio. Sulle mura lato mare si trovavano due feritoie, una per piano, fatte a misura per la canna degli archibugi.
“In genere, le torri a forma quadrata erano a tre piani: il piano terra – ricordano Cantalupo e La Greca – coperto a volta a botte, era adibito a magazzino e ad alloggio dei cavalli; il primo piano, anch’esso coperto a volta, era destinato agli alloggi delle guardie; il terzo piano, generalmente coperto a coppi di terracotta, era riservato alla batteria. Al secondo piano trovava posto la colubrina, o lunga bombarda, oltre a due petriere (catapulte per il lancio delle pietre) e altri mezzi di artiglieria di piccolo calibro.
Non erano assenti i fornelli per le fumate in caso di allarme. I tre piani erano collegati mediante scalette interne. Il primo piano, nelle torri di difesa, veniva chiuso dal sollevamento del ponte levatoio, che lasciava dietro un vuoto di circa tre metri di profondità. Il pavimento era in cotto o a calce battuta. Piccole finestre, per dar luce all’interno, erano praticate sul piano elevato e sul secondo. Le porte della stalla erano rivestite, all’esterno, da solida lamiera, fissata, al legno, con grandi chiodi. Non mancava il pozzo o la cisterna, che si alimentavano quasi sempre di acqua piovana; vi erano pure gli abbeveratoi per i cavalli”.
Cessato il pericolo delle invasioni molte torri furono cedute, alcune sono state abbandonate divenendo dei ruderi.