“Il sentiero dei lupi”: il regista Andrea D’Ambrosio racconta il suo Cilento

Intervista all'autore del docufilm Andrea D'Ambrosio, cilentano doc originario di Roccadaspide

Di Annalisa Siano

“Il sentiero dei lupi” è fra i dieci progetti finanziati dalla Fondazione Con il Sud e dalla Fondazione Apulia Film, nell’ambito del bando Social Film Production Con il Sud, iniziativa volta a raccontare il Mezzogiorno e i suoi fenomeni sociali, attraverso l’incontro fra imprese cinematografiche e Terzo settore.
Il docufilm, del regista Andrea D’Ambrosio è stato selezionato tra oltre 160 proposte e si è classificato al primo posto nella sezione “Ambiente”.

Il progetto prevede la realizzazione di un documentario, con protagonista Marco Galaverni, esperto del mondo dei lupi, e punta a raccontare le aree interne del Cilento, i suoi borghi nascosti, le sue popolazioni, i suoi miti.

Un racconto che vuole evidenziare il grande potenziale naturalistico, umano e culturale di territori che, come i lupi, sono in via d’estinzione poiché considerati marginali.

Andrea D’Ambrosio è un regista e documentarista italiano, nato nel 1975 a Roccadaspide, nel cuore proprio del Cilento. Laureatosi in cinematografia, Andrea ha studiato con i più grandi maestri del cinema italiano e realizzato numerosi documentari che hanno vinto e vincono tutt’ora, premi in tutto il mondo.

Il suo primo lungometraggio Due Euro l’ora uscito nel 2016, prodotto dalla Achab film con Rai cinema, ha vinto 40 festival nel mondo, tra cui il Bifest e il festival di Montreal. E’ stato trasmesso per ben dieci volte sulle reti RAI ed è stato presentato in vari Paesi del mondo (Francia, Stati Uniti, Kazakistan, Russia, Albania e Turchia).
Tra i premi più importanti: il Nastro d’argento nel 2008, il Premio Giancarlo Siani, il Premio Giuseppe Fava, il Premio come miglior film per due euro l’ora al Festival di Montreal, il premio Ettore Scola.

La vittoria del progetto “Il sentiero dei lupi” era aspettata, in quanto l’argomento ambientale riscuote sempre successo di fondi o è stata accolta con stupore? Ti va di descriverci le tue emozioni a riguardo?

Il sentiero dei lupi è un film documentario a cui tengo moltissimo. Nasce un po’ di tempo fa. Avevo voglia di raccontare la Terra in cui sono nato. Incontrai al WWF Italia Marco Galaverni che è uno degli studiosi più importanti degli ecosistemi naturali e ambientali. Da circa dodici anni studia e ricerca i lupi. E’ direttore scientifico del WWF. Mi colpì molto il suo lavoro e la sua attività. Ho deciso di scrivere un soggetto di documentario che raccontasse il suo lavoro e la mia Terra. E così nasce “Il sentiero dei lupi”. Un film che racconta non solo il lavoro di Galaverni e il Cilento ma è anche la metafora di un Sud che arranca e che rischia l’estinzione ma che fa di tutto per riprendersi. Nel suo viaggio Marco incontra chi resta: pastori, contadini, artigiani. Ho sempre voluto raccontare le aree interne, quelle più nascoste e desolate. E’ importante questo film per capire che viviamo tutti nello stesso ecosistema che va rispettato e non calpestato. Il mancato equilibrio tra uomo e animale porta disastri, come quello che stiamo vivendo in questi tempi di pandemia. Volevo anche raccontare il lupo perché è un animale che ha una origine ancestrale e arcaica proprio come la mia Terra.
Abbiamo presentato il progetto insieme alla Iuppiter group, alla Fondazione Picentia e al WWF silentum al bando di Fondazione con il Sud e Apulia film commission. Sono arrivati tantissimi progetti. Ma sui 160 selezionati siamo arrivati primi nella sezione Ambiente. E’ stata una grande sorpresa e una emozione forte. Per due motivi: perché torno a raccontare l’ambiente (dopo due film che avevo già fatto sull’argomento: Biutiful Cauntri che narra il disastro dei rifiuti in Campania e I giorni della merla che raccontano il fenomeno degli orti urbani) e perché girerò nella Terra in cui sono nato.

È motivo di grande orgoglio realizzare questo film nella tua Terra d’origine? Cosa ti lega ancora oggi al Cilento?

Il Cilento è “la mia Provenza dello Spirito” come avrebbe scritto Asor Rosa. Me lo porto dentro e in giro per il mondo, come si porta il baule dei tuoi ricordi. La mia memoria e la mia anima sono racchiuse in questo lembo di terra che da bambino mi portava nelle campagne e sulle alture. Un mondo straordinario a metà tra civiltà marina e montagne dal profumo di erba. Quello che sono è dovuto molto a quel mondo li. Sono nato e cresciuto in una casa piena di donne che mi portavano in giro per le strade di Roccadaspide, il paese sugli alburni in cui sono nato. Ricordo il profumo delle castagne e del pane appena sfornato e la sera di fronte casa mia c’erano le lucciole che cercavo di prendere tra le mani e che si illuminavano come un neon in un bar di montagna.
Amo la mia Terra. Una Terra piena di contraddizioni e di chiaro scuri. Ma orgogliosa e ancora selvaggia in parte. Ci torno spesso. Sto bene quando cammino per quelle strade e quando incontro le persone con cui sono cresciuto e che ho amato. Mi fanno sempre sentire orgoglioso di appartenere a questi luoghi. Vorrei e mi piacerebbe che la politica si occupasse di più delle aree interne, dei piccoli paesi che compongono il mosaico di una terra antica che è stata attraversata da pastori e briganti, da poeti e da viaggiatori discreti. Il mio è un legame indissolubile. E in ogni mia opera c’è un po’ della mia terra.

Cinema e Sud, due tematiche rispettivamente molto attuali. Come pensi che il cinema possa essere d’aiuto per i territori del Sud, che a causa del Covid, vivono quotidianamente situazioni ancora più difficili?

Il cinema è una risorsa incredibile. È il racconto vero e a volte crudo di realtà difficili o meravigliose. I miei film li ho praticamente girati quasi tutti al Sud. Racconti di ferite aperte e di grandi ripartenze. Come il racconto del mio primo lungometraggio Due Euro l’Ora che nasce da un fatto di cronaca e che racconta la storia di operaie costrette a lavorare per pochi euro al soldo di uno sfruttatore. Abbiamo girato in Irpinia a Montemarano, e un paese intero si è messo al servizio del film.
Il compito del cinema è proprio questo. La condivisione di una idea e di un progetto insieme al rilancio di un territorio. Il cinema del dopoguerra nel nostro Paese ha raccontato la ricostruzione di un Paese che veniva dalla guerra e che si leccava le ferite. Grandi autori che hanno raccontato l’Italia. Da De Sica a Pasolini, da Luchino Visconti a Rossellini. Oggi potrebbe accadere lo stesso. Raccontare con immagini e storie come possiamo uscire da questa crisi e ricostruire tutto. Il cinema è sempre respiro in un mondo in apnea. E da sempre i territori, anche quelli più remoti, possono vivere di luce propria attraverso una storia ben costruita e raccontata. Bisognerebbe portare autori e macchine da presa in questi luoghi. E cercare di raccontare ferite e splendori di un meridione che riesce sempre a trovare una via di fuga a disastri e crisi.

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