ALFANO. Con sentenza pubblicata nei giorni scorsi, la Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso verso la condanna inflitta dai giudici nei confronti dell’ex direttore dell’ufficio postale di Alfano.
La Corte di Appello di Salerno, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Vallo della Lucania, aveva già dichiarato la prescrizione per il reato di falso in atto pubblico, confermando invece la condanna per le “plurime ipotesi di peculato contestate”, determinando una pena di 3 anni e 10 mesi di reclusione oltre al risarcimento del danno riconosciute alle parti civili.
Stando alle ricostruzioni l’ex direttore e unico operatore dell’ufficio postale di Alfano, “si era appropriato di ingenti somme di denaro depositate sui libretti di risparmio, nonché delle somme investite in buoni fruttiferi, provvedendo successivamente a ripianare parzialmente gli ammanchi scoperti dai titolari dei depositi, in parte mediante ulteriori illeciti prelievi operati sui depositi di altri clienti”.
L’imputato aveva già contestato il reato di peculato, ritenendo che non ne sussistessero i presupposti e chiedendo quindi un alleggerimento delle contestazioni con il riconoscimento dell’appropriazione indebita. Tesi respinta dalla Corte d’Appello e di fatto anche dai giudici della Cassazione (presidente Anna Petruzzellis, relatore Paolo Di Geronimo. Questi ultimi hanno ritenuto infondato anche gli altri presupposti del ricorso: uno relativo alla qualificazione dell’imputato quale incaricato di pubblico servizio essendo Poste Italiane una S.p.A e l’altro inerente il mancato riconoscimento della “Prevalenza delle generiche sull’aggravante del danno di particolare gravità”. Di qui l’inammissibilità del ricorso e la conferma della condanna.