CAMEROTA. Il Consiglio di Stato, con sentenza pubblicata lo scorso 6 aprile, ha respinto il ricorso presentato dalla società che gestiva la discoteca Il Ciclope contro il Comune di Camerota, rappresentato dall’avvocato Lorenzo Lentini. I giudici erano chiamati a decidere sulla richiesta di annullamento dell’atto con cui Comune aveva annullato d’ufficio la concessione di un’area demaniale dell’estensione di circa 5.300 mq, gravata da uso civico, comprendente la grotta “Caprara”.
Di fatto la sentenza rappresenta una nuova pietra tombale sulla storica discoteca di località Mingardo. Già lo scorso luglio i giudici amministrativi respinsero un ricorso della società relativamente alla revoca della concessione dell’area adiacente al locale, adibita a parcheggio. Ora un nuovo provvedimento che conferma la legittimità degli atti del Comune.
Per il Consiglio di Stato il ricorso, basato su sei motivi di impugnazione, è inammissibile.
Tutta la vicenda parte dalla tragedia avvenuta l’11 agosto del 2015, quando morì il giovane napoletano Crescenzo Della Ragione, colpito da un grosso masso caduto nella grotta. Il Comune di Camerota, a fondamento della revoca del contratto di concessione, avvenuta d’ufficio, richiamò proprio quel tragico evento cui seguì il sequestro dell’area. Per l’Ente era venuto meno l’assetto causale del contratto di concessione.
La questione era stata già oggetto di un contenzioso che aveva visto la società soccombente.
«Il motivo di revocazione – scrivono i giudici – si configura quando vi sia un contrasto tra la decisione contro la quale si agisce ed una precedente decisione pronunciata in un processo diverso, ormai passata in giudicato, intervenuta tra le stesse parti ed avente lo stesso oggetto, così da consentire ad una parte, già risultata vincitrice in una lite, di proporre una exceptio rei iudicatae tardiva. Il medesimo motivo può riferirsi solo a una sentenza antecedente a quella revocanda, di cui il giudice non ebbe la possibilità di avere conoscenza».
In questo caso, secondo il Consiglio di Stato, «deve però escludersi che sussista il presupposto stesso del vizio revocatorio, ossia un giudicato formatosi sulla qualificazione giuridica del provvedimento, vincolante ai fini della successiva qualificazione giuridica, da parte di un distinto organo giurisdizionale, di un successivo e diverso provvedimento dell’amministrazione, per il sol fatto che questo abbia analogo contenuto formale».
Insomma «la decisione della quale viene attualmente chiesta la revocazione si era formalmente pronunciata sulla contestata violazione del giudicato, come pure sulla questione della qualificazione del provvedimento impugnato quale revoca o annullamento d’ufficio». Di qui l’inammissibilità del nuovo ricorso.