Alfonso Gatto, un uomo del Cilento

Di Adele Colella

Alfonso Gatto , uno dei poeti più grandiosi del panorama del 900 italiano, autore di liriche che hanno fatto la storia della letteratura , appartiene a quel folto gruppo di intellettuali provenienti dal Sud Italia, tra i quali il celebre critico d’arte Edoardo Persio e Elio Vittorini. Nasce a Salerno nel 1909 da una famiglia di piccoli armatori calabresi, ebbe una vita avventurosa e collaborò con le riviste d’avanguardia più importanti dell’epoca , come “L’Italia Letteraria”; fa parte di quegli esponenti meridionali che tra le due Guerre lasciarono il proprio paese e corsero per varie città dell’Italia centrale e settentrionale conservando nel cuore la nostalgia del Sud. Veniva dal Sud e la sua anima era colma di storia e amore per la sua terra, cresce irrequieto e impetuoso nei quartieri vecchi di Salerno , “di quella città esposta contro il mare , contro il vento, secondo la regia naturale del Padreterno”.

Percorreva la sua città , aveva gli occhi grandi , spalancati e una voce che traduce in rima ogni meraviglia della sua amata terra ,contemplava quell’orizzonte del mare per poter raggiungerlo davvero . Il poeta viene ricordato per le sue idee antifasciste, fu una delle voci più autorevoli della corrente ermetica italiana e da buon ermetico viene ricordato come il poeta dei silenzi , il suo è un vocabolario che punta sulla qualità piuttosto che sulla quantità , poche parole per lasciare ai posteri i meravigliosi addii di un innamorato , le sue parole e i suoi versi sfidano il tempo e l’oblio degli uomini . Gatto morì nel 1976 e le sue ceneri sono oggi onorate nel cimitero di Salerno , sulla cui lapide riecheggiano queste parole di Eugenio Montale “Ad Alfonso Gatto , per cui vita e poesia furono unica testimonianza d’amore”.

Poeta , giornalista , pittore , era però soprattutto un uomo sincero ,sanguigno , appassionato come gli uomini del Sud che sentono dentro la forza del mare in tempesta. Nonostante il suo vagabondare continuo nutriva nei confronti della sua terra un calore genuino, avvertiva il profumo dei ricordi e non tutti sanno che sentì l’eco del nostro Cilento , di cui ne rimase ammaliato , fu colpito dai paesaggi e colori , profumi e sapori e ne dedicò molte e belle poesie.

Il poeta ammirò le bellezze di Paestum e Velia , soggiornò a Palinuro lungo le estati degli anni ’60/’70 e ne interiorizzò emozioni e ricordi tradotte in liriche , Castellabate divenne poi la cornice di una bellissima poesia d’amore , in particolare rimase estasiato da Punta Licosa, luogo di magia da cui ricavò una bellissima lirica ad esaltazione del sorriso della sua compagna , infatti il poeta la pubblicò con questa nota : “La poesia è nata da una situazione reale , a San Marco di Castellabate , verso punta Licosa, seduti su un muretto del porto mangiavamo le arselle (telline) e ci perdevamo nell’infinito. “ Tu dici : vedi le stelle già morte nel firmamento , tu vivi le gioie gioiose dei cenni che giungono a noi . Eppure all’aprire le arselle , in quel segno infinito che l’unghia penetra , incidi l’ansia di averle , ne succhi d’empito il gusto e ne ridi . Ancor s’apre all’aperto , al conto degli occhi , la sola paura d’essere vivi, mangiando al guscio le arselle, guardando le stelle.”

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