Erano le 19.34 del 23 novembre del 1980. In una calda domenica d’autunno le case e gli altri edifici si trasformarono in tombe. Un sisma di magnitudo 6,9 con epicentro tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania provocò oltre 280mila sfollati, 8800 vittime, quasi 3000 morti. Probabilmente il terremoto dell’Irpinia fu una tragedia, la più grande catastrofe naturale registratasi in Italia. Interi paesi vennero distrutti.
Nel comprensorio del Cilento, Vallo di Diano e Alburni il terremoto fu chiaramente avvertito. Comuni come Auletta, Caggiano, Pertosa, Sala Consilina e i centri limitrofi riportarono seri danni. Le popolazioni per diversi giorni dormirono in auto, nelle tende o addirittura all’agghiaccio per il timore che il fenomeno potesse ripetersi o perché molte di loro un tetto non lo avevano più.
Ancora oggi questo territorio porta le ferite di quel tragico evento. E c’è un simbolo di quella tragedia. Si trova a Caggiano. Non si tratta di edifici ridotti in macerie ma di un albero, una quercia (nella foto di Mario Scelza), squarciata a metà dal sisma.
Gli esperti del territorio sostengono si tratti di una leggenda e che in realtà la grossa pianta fu ridotta così dalla frana sismo-indotta che colpì alcune zone di Caggiano pochi giorni dopo quel 23 novembre. Qualunque sia la verità quella quercia è tutt’oggi un un monumento naturale al sisma.