Calcio a 5 femminile, Antonella D’Angelo: “Amo questo sport ma i campionati vanno fermati”

L'appello di Antonella D'Angelo, ex Salernitana Femminile, che vede la sua squadra, lo SpartaK, con solo due elementi arruolabili.

Di Christian Vitale

È un fiume in piena Antonella D’Angelo, calcettista che per ben tre stagioni ha vestito la maglia della Salernitana Femminile. La laterale campana è attualmente in forza alle casertane Spartak, squadra che milita nel girone C di Serie A2 di calcio a 5. La classe ’92, ex  Woman Napoli, sta digerendo mal volentieri il protrarsi dei campionati. Questo lo sfogo social della giocatrice delle rossonere, originaria di Sant’Agata de’ Goti, che attualmente contano solo 2 elementi arruolabili per gli allenamenti.

Le parole di Antonella D’Angelo


«Premetto che come me la maggior parte delle persone che sono associate al futsal, chi più chi meno, lo fanno per passione. Per la gioia della condivisione, per scopi che vanno aldilà dell’agonismo.  Premetto che io ero una di quelle che “speriamo che almeno ci fanno giocare così ci distraiamo“. Premetto che, a noi personalmente, la società nel suo piccolo ci consente di vivere al meglio una realtà come l’A2 femminile di futsal. Pagando quindi per interesse di partecipazione le iscrizioni, gli indumenti, le trasferte, le visite mediche il campo e chi più ne ha più ne metta. Nonostante si faccia tutto per bene dobbiamo fare i conti con questo virus, e ti trovi infinitamente decimato.  Gli allenamenti falsati dalle troppe assenze, fai allenamento e le compagne che sono distratte e ti ripetono continuamente “non sono tranquilla”. Ma la Divisione Calcio a Cinque si preoccupa di multarci se ci presentiamo decimati, di multarci se non ci presentiamo alle partite perché siamo decimati».

Lo sfogo del capitano dello Spartak


«Io sono davvero scioccata dal fatto che il comitato, che dovrebbe determinare la nostra sorte sportiva, si è trovato a determinare anche le nostre vite. Questa divisione sta dimenticando che siamo anche persone che vivono una vita al di fuori di questo sport. C’è chi lavora, chi studia, chi è parte di un nucleo familiare dove c’è una persona  “debole“ e per cui si ha davvero paura. C’è chi è parte di un nucleo familiare ed abita fisicamente in un luogo dove è assolutamente categorico andare a lavorare per sopravvivere, e non ci si può permettere uno stop di minimo 15 giorni che può arrivare fino a raggiungere 45-50 giorni se viene rilevata una positività man mano che la quarantena avanza, c’è oltretutto chi viaggia con i mezzi pubblici. Rischiamo e abbiamo paura più per tutto ciò che abbiamo attorno. Ma ancora non abbiamo capito che questo virus non attacca solo l’atleta che torna a casa e nel caso “si fa la quarantena“. Questo virus attacca tutto ciò che le atlete hanno nel loro quotidiano,  pericolosamente».

La riflessione di Antonella D’Angelo


«La Divisione Calcio a Cinque non può permettersi di giostrare le nostre condizioni aldilà del campo: le nostre vite, i nostri familiari, il nostro lavoro e tutto ciò che possediamo. Solo  perché ci sono 2-3 società che per interesse non hanno intenzione di fermarsi . Deve ascoltare tutti. Ci avete chiesto di prendere precauzioni ma con i test stiamo lottando contro un nemico invisibile: ieri hai fatto il tampone, oggi rischi di contagiarti e di contagiare le compagne e le loro famiglie e dobbiamo sperare che tutto questo giro si dissolva serenamente, senza conseguenze come invece è successo. Ci sono persone in ospedale».

La conclusione della calcettista dello Spartak


«Tralasciando l’aspetto economico, che le società stanno cercando di affrontare per farci fare allenamento serenamente, ma come si può essere così sordi e ciechi da non valutare che la passione ha fatto posto all’angoscia? Non me ne vogliano tutti gli atleti e le società, che credono che sia fattibile continuare così, ma è illogico tenere a freno attività di ristoro, palestre e centri sportivi, campionati inferiori e non noi. Non siamo diversi da nessuno, anche noi siamo soggetti a rischio. Noi abbiamo preso un impegno in tempi in cui era concesso il beneficio della condivisione, c’abbiamo creduto sul serio. Ora dubbi non ce ne sono più».

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