Sacco, famiglia positiva al covid: “In paese additati come untori”

"Da quando io e mio marito abbiamo avuto conferma di essere positivi, non abbiamo avuto solidarietà dalla nostra comunità, ma siamo stati additati come gli untori”

Di Katiuscia Stio

SACCO. «Il covid è un virus virulento e devastante. Invade rapidamente il corpo ma ha anche effetti sulla psiche. Da quando io e mio marito abbiamo avuto conferma di essere positivi, non abbiamo avuto solidarietà dalla nostra comunità, ma siamo stati additati come gli “untori”, e questo ci ha molto mortificati» con queste parole Gaetana Rizzo racconta la tragica esperienza, vissuta sulla propria pelle insieme al marito, del coronavirus.

A Sacco nelle scorse settimane si sono registrati alcuni contagi che però non sono legati tra loro, ovvero non partono da un unico ceppo. Gaetana e la sua famiglia gestiscono un bar in paese, dopo le prime notizie sulla positività di una donna, e a venire di componenti di una famiglia, e poi il marito e poi lei stessa, in molti in paese hanno cominciato ad additare l’attività commerciale con luogo del contagio.

«Ma le persone coinvolte non sono mai venute al nostro bar, nemmeno per un caffè. E il tracciamento contagi ha poi dimostrato che non è stato il nostro bar il “piccolo focolaio” come alcuni lo hanno definito – continua Gaetana-. Da premettere che sia io che mio marito ci siamo messi in quarantena fiduciaria da molto prima di scoprire di essere positivi, avvertendo alcuni sintomi influenzali che però, inizialmente, il medico aveva scartato come sintomi da covid. Ci siamo divisi dai nostri figli, dai genitori, dai compaesani, proprio per il senso di responsabilità e rispetto. Abbiamo chiuso il bar. Abbiamo fatto richiesta di essere sottoposti a tampone, e infine la inattesa notizia: eravamo entrambi positivi».

Da questo momento Gaetana e Felice vivono isolati e senza alcun contatto con l’esterno. Al dolore fisico, alla paura per come si potrebbe sviluppare il prosieguo della propria positività, allo sconforto della lontananza dai propri figli e genitori si aggiungono il vocìo insistente di chi continua a volerli vedere come “untori”, il continuo additare il bar come luogo di contagio e, forse la nota più amara, il non sentire un minimo di solidarietà da nessuno.

«Cose assurde che lasciano l’amaro in corpo e la consapevolezza che quando si parla di essere uniti, coesi, della necessità di sostenersi l’uno con l’altro quale unico antidoto per costituire un mondo migliore, risultano poi solo parole vuote. In tutto questo voglio ringraziare le mie amiche che si sono occupate dei miei figli come se fossero i loro» conclude Gaetana.

“Ammalarsi di Covid-19 anche in modo lieve può causare problemi per mesi. La sindrome che viene chiamata “Post Covid” o “Long Covid” continua a essere sottovalutata nei dibattiti in prima serata, ma colpisce ormai moltissime persone, si pensa fino al 10 per cento di chi è stato contagiato dal coronavirus. Sono soggetti ufficialmente guariti e negativi al tampone che però hanno sintomi persistenti e disturbi che durano da più di tre mesi, principalmente stanchezza, debolezza, fiato corto, eritemi, perdita di memoria, ansia e dolori muscolari, problemi che rendono loro impossibile tornare a stare bene come prima” riporta un articolo de Il corriere della sera del 9 ottobre scorso. Non meno “dolorosi e pungenti” per lo spirito sono gli effetti della emarginazione a cui si è stati condannati per aver avuto la sfortuna di essere risultati positivi.

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