“Ho sentito parlare di questi posti grazie ai racconti che mi faceva Franco Antonicelli, il mio istitutore”. Così Gianni Agnelli quando arrivò ad Agropoli con il suo yacht. Nel centro cilentano era di casa. Amava questa località e la vicina Paestum.
Antonicelli, di cui oggi ricorre l’anniversario della morte (6 novembre 1974) fu confinato ad Agropoli dall’inizio dell’estate del 1935 alla primavera del 1936.
Scrittore, uomo politico, giornalista, editore e grande coscienza critica dell’Italia repubblicana, nel Cilento lo mandarono a forza. A questo luogo dedicò “Autunno ad Agropoli“, un manoscritto ancora inedito.
Il legame tra Antonicelli e questa terra è forte. Nella vicina Capaccio Paestum, alla chiesa della Madonna del Granato il confinato andò a sposarsi. Era il giorno di Santo Stefano del 1936. Come ricorda il giornalista Oreste Mottola “Lui aveva tight e cilindro, mentre la sposa indossava un costume grecizzante ispirato alle vicine vestigia pestane. Le due grandi automobili arrivate da Torino dopo aver attraversato la polverosa Tirrenica Inferiore che tagliava a metà l’area archeologica di Paestum, aizzarono la fantasia popolare dei braccianti di Capaccio e di Fonte di Roccadaspide richiamati dall’evento. Difficile immaginare che sapessero chi fossero gli sposi. I giornali di allora queste notizie non le davano. Meno che mai la radio, tutta discorsi del Duce con il sottofondo di adunate oceaniche di folla e le truppe di Graziani e Badoglio che del Negus Hailè Selassiè facevano polpette, però usando i gas”. Franco Antonicelli, una laurea in lettere ed un’altra in giurisprudenza, come ultima occupazione era stato il precettore del giovane Gianni Agnelli. Lei, Renata Germano, era la figlia di Annibale, il notaio della Fiat.
“Ai locali parve di assistere ad una scena di un film – racconta Mottola – La scorta di forza pubblica che seguì la cerimonia contribuiva ad aumentarne l’alone di leggenda. Lui, l’antifascista biografato in oggetto o il pregiudicato politico Antonicelli Franco” come si legge dalle note di questura, da sette anni era nel mirino della polizia fascista. Fin da quando, nel 1929, osò scrivere una lettera di solidarietà al filosofo Benedetto Croce che, in Senato, aveva contestato i Patti Lateranensi. Fu condannato ad un mese di carcere e gli fu proibito ogni impiego pubblico. Da qui la scelta di fare l’insegnante privato”.
Alle ore 6.45 del 15 maggio del 1935 fu coinvolto nella retata di duecento persone, tutto il gruppo torinese di “Giustizia e Libertà” e gli einaudiani della rivista “La Cultura”. La “spiata” fu di Pitigrilli, lo scrittore decadente. Scattò così l’invio, per tre anni, al confino di Agropoli. Arrivato nella cittadina cilentana Antonicelli cercò subito il modo di occupare le giornate.
Dipingeva i paesaggi che guardavano ai monti ed alla marina, scriveva, raccoglieva canzoni popolari cilentane dai marinai e dalle popolane, e poi fotografava. Entrava nelle povere case dei contadini e curiosava tra capre e maiali. Avrebbe voluto inerpicarsi per i paesi più interni, glielo proibirono. “Gli agropolesi gli vollero bene. Quel giovane signore colto ed elegante parlava con tutti. Ed ascoltava”, racconta Domenico Chieffallo, che l’avventura dei confinati ad Agropoli, “almeno sessanta”, l’ha raccontata in un suo prezioso libricino. Il periodo del confino ad Agropoli di Franco Antonicelli fu ricco d’umanità “Non abbiamo mai dimenticato Agropoli: io specialmente, quanto più passa il tempo, tanto più penso con piacere e nostalgia al vostro paese: mi ricordo tutte le giornate trascorse in compagnia vostra, tutte le canzoni cilentane che ho imparato, tutti gli amici che ho conosciuto”, scrisse ad un amico di quel tempo.
Così l’ex confinato Franco Antonicelli racconta del periodo che dovette trascorrere nel paese che ancora non era stato scoperto dal turismo di massa. Passava le serate di un’estate agropolese lunga che si prendeva grandi parti della primavera e dell’autunno stando fermo sui lunghi gradoni del porto conversando, dipingendo o manovrando la sua macchina fotografica. La mattina no, era alla marina, dove dai pescatori si faceva raccontare storie e canzoni. A Renata, prima fidanzata e poi moglie, scriveva ogni giorno una cartolina con un ad un lato una foto di Agropoli e dall’altra la trascrizione esatta di una canzone popolare. Accettò di fare il padrino per il battesimo di Cristina, la figlia di Carola, il proprietario dell’albergo ristorante più rinomato del Cilento, dove scendevano Umberto di Savoia, il principino, e più di una volta, in segreto, Benedetto Croce venne a far visita a quel suo discepolo pugliese – piemontese.
“Ad Agropoli di quell’anno che Antonicelli rimase qui – racconta Chieffallo – rimane il ricordo di quella raffinata eleganza di modi, di comportamento, di parola. Un animo colto e gentile…”.