I sensi del Cilento: Cuccaro Vetere

Di Roberto Scola

Dall’alto del ristorante : “La Baita” a Cuccaro Vetere, a mille metri di altezza, lo sguardo si perde nell’azzurrità del mare. Capo Palinuro, il faro, che tutti i marinai guardano con grazia e speranza illumina la via maestra, tanto è vicino che si può toccare con la mano. L’odore di montagna ,di funghi selvatici, di ricci di castagne , il primo freddo autunnale, il cielo velato da nuvole leggere , rendono l’atmosfera densa di significati profondi e armoniosi. Sono a Cuccaro Vetere. “Cuccaro” deriva dal  greco , significa cocuzzolo, cima, mentre “ Vetere” deriva dal latino e significa antico. CIMA ANTICA.

La felice posizione fece di questo paese una fortezza-rifugio per la vicina Elea. Questo è tutto quello che so. Il resto voglio scoprirlo con i cinque sensi, come ho scritto nella premessa della rubrica. Dal Ristorante, al paese giù ,c’è quasi un dieci minuti di macchina, mi accompagna Antonio(il nome è di mia invenzione per una questione di  privacy).La piazza è grande, appare maestosa, per attraversala da una parte all’altra, occorre una bella passeggiata. Antonio mi racconta della forza di questo paese ,della sua gente : “Questa era una delle terre normanne  che costituivano la baronia di Novi. Diventato feudo autonomo, la città venne governata dal Re Ferrante, con la sua fortezza ,di cui rimangono i resti di  un Castello .

Cuccaro fu bruciata per sette volte, l’ultima, la più fatale, vide una resistenza della popolazione locale a dir poco commovente. Gli abitanti, sapendo che gli invasori provenivano da Vallo ,si nascosero  in una via di passaggio, dietro cumuli di pietra,  misero in atto una guerriglia forte e disperata. Però, come può succedere  in questi  casi, una spia di Cuccaro, indico altre strade ,così i malfattori riuscirono nel loro intento. E’ una storia bella. Mi ricorda un po’ la battaglia delle Termopili, dove il grande comandante Leonida con soli trecento soldati ,tenne testa al grande esercito persiano  per molti giorni, poi però ci fu la disfatta. Ci avviamo a visitare la Chiesa principale di San Pietro .Colpisce subito all’occhio ;il portone in bronzo ideato dall’artista Mario  Modica che ripercorre la vita del primo Apostolo. La Chiesa ha una navata centrale è particolare per i suoi quadri , per il maestoso altare maggiore, le acquasantiere in pietra , il bellissimo organo a canne. Esco con l’orgoglio e la pienezza di essere cilentano .Prima di dirigerci al Convento di San Francesco, sulla strade mi aspetta la Signora Maria con il dolce tipico del luogo: le pastorelle uguali alle castagnelle natalizie, ma con un profumo e sapore di castagne particolarmente buono e deciso, di quelli che non dimentichi .

L’ospitalità, conserva quella sacralità che solo i piccoli borghi lontani dal rumore urbano riservano ancora. La Signora Maria mi ricorda che  oltre alle castagne e  alla pasticceria locale, Cuccaro è ricordato per essere un centro conosciuto per le fiere affollate, con un commercio ed un artigianato fiorente soprattutto per la lavorazione dei coltelli. Oggi è patria degli escursionisti, di gente che cerca la tranquillità nel verde delle colline e delle montagne. Saluto la Signora Maria che mi ha offerto ristoro gradito, c’è da incantarsi davanti a tanti Palazzi gentilizi e Portoni intersecati di pietra viva. Arrivo al Convento di San Francesco fondato nel 1333,una storia di stupore e di mistero, tra il sacro e il profano ,avvolge questo luogo ricco di fede e di adorazione .Si racconta che un gruppo di monaci, diretti verso Paesi lontani, fecero sosta proprio vicino al Convento per far riposare i muli. Uno di questi ,non si volle più alzare per ripartire, restava immobile in ginocchio. Pensando che il carico fosse eccessivo ,i monaci tolsero i carichi dal mulo. Ma niente .Il mulo era irremovibile .Alla fine ,pochi passi più in là, fu rinvenuta una croce di Cristo. Da tutto il circondario ,pellegrini in festa venivano ad adorare la Croce in legno.

Oggi viene conservata nella Chiesa di San Pietro Apostolo ,dove sono stato prima ,viene portata in processione il Venerdì Santo. Dall’alto dei ruderi del convento il panorama è spettacolare ,si vedono anche le torri della antica cinta muraria. Questo è un luogo ideale per gli amanti della natura ,della tradizione, dell’arte. Dico di più, questo è un luogo da contemplare come solo la bellezza pura sa essere. Antonio poi mi parla della manifestazione che attrae molti turisti nel periodo estivo il : “Palio del ciuccio” giunto alla trentasettesima edizione.

“La manifestazione è un omaggio alla laboriosità di questo animale docile e umile-dice Antonio- l’asino è uno degli elementi caratterizzanti della vita rurale cilentana fino ai  primi anni del 900.La festa si svolge nella settimana di ferragosto è culmina in una corsa all’ultimo respiro tra gli asini cavalcati amabilmente da gente di Cuccaro.” Non mi resta che salutare. Ringrazio Antonio che alla fine mi declama una poesia di Giuseppe Liuccio l’autore della canzone: “La Cilentana” dedicata a Cuccaro Vetere.

E’ ferita nel verde di montagna

la strada che spalanca all’orizzonte

il mare greco della costa antica

con Velia che famosa di Pensiero

s’espande alle radici della Stella

che veglia sulla rada di Licosa

Qui vennero i monaci barbuti

In fuga dall’Oriente per paura.

 E fondarono chiese  ed abbazie.

 E forti e saggi di sapienza antica

fecondarono terre nella valle

 a ferita dell’acqua del Mingardo.

 E Cuccaro a domino di collina

veglia conventi, feudi e palazzi

dove risuona l’eco della storia.

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