Bufera giudiziaria sulla gestione rifiuti nel Cilento. La Procura di Vallo ha avviato una maxi inchiesta per peculato, con l’appropriazione di 10 milioni destinati ai lavoratori e allo Stato, e bancarotta fraudolenta della della Yele, la società consortile che per venti anni si è occupata della raccolta e smaltimento rifiuti in 48 comuni del territorio a sud di Salerno. Nel registro degli indagati sono finite 29 persone.
Ieri mattina per tutti sono scattate perquisizioni domiciliari con il sequestro di beni, tra auto, immobili e conti correnti fino alla concorrenza di dieci milioni di euro. A finire sotto inchiesta Marcello Ametrano, presidente in carica quando nel 2018 la società è stata dichiarata fallita dal tribunale di Vallo. Ha chiuso i battenti portando al licenziamento di una decina di operai, rimasti senza lavoro e con diversi stipendi da recuperare.
Insieme ad Ametrano devono rispondere di bancarotta altri amministratori della società e sindaci dei comuni cilentani. La Procura parla di meccanismo criminoso che ruotava principalmente intorno alla figura del presidente Ametrano, del direttore generale della Yele, Sergio Di Blasi (vice sindaco di Pisciotta) e Gabriele Falcione consigliere di Amministrazione dal 2010 al 2013 ed amministratore comunale a Sessa Cilento.
I tre sono accusati di peculato in relazione all’appropriazione dei dieci milioni di euro e per la Procura Ametrano non avrebbe potuto agire da solo. Il Di Blasi, dalle intercettazioni risulterebbe la longa manus del presidente, uomo sempre informato e pronto a risolvere le problematiche societarie.
Ametrano, Di Blasi, Falcione insieme ad altri indagati definibili di secondo piano, tra cui Alberto Astore, già vice sindaco di San Giovanni a Piro, Massimiliano Avella, Ciro Carbone, Gianfranco Celotto, Emanuela Chirico, Elena Anna Gerardo, attuale sindaco di Alfano, Antonio Manzi primo cittadino di Monteforte Cilento, Giampiero Nuzzo sindaco di Caselle in Pittari, Giovanni Petillo, Giuseppe Ronsini, Giuseppe Vitale, presidente del Corisa 4 e già sindaco di Campora, “con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro distraevano parte del patrimonio societario ammontante ai 10 milioni di euro corrispondenti alle somme dovute ai fini delle imposte sui redditi, e alle somme trattenute ai dipendenti a titolo di cessione del quinto”.
Nel medesimo disegno criminoso gli indagati aggravavano il dissesto della società astenendosi dal richiedere la dichiarazione di fallimento nonostante debiti di oltre 30 milioni di euro.
Gli indagati contestano le accuse e precisano come i soldi siano rimasti nelle casse della società per pagare stipendi, parte delle tasse e fornitori. “Nessuno ha toccato niente”, dice Di Blasi. La Yele, inoltre, vantava crediti per diversi milioni di euro verso i comuni.