È oramai una storia che si ripete.
Trovare, da un giorno all’altro, tutto distrutto:coltivazioni, vitigni, uliveti e campi seminati.
Sacrifici, tempo, costanza, denaro, in un attimo vanificati, e non essere in grado di fare nulla per evitarlo.
È questo ciò che succede nel Cilento, ogni volta che un cinghiale fa incursione mettendo a repentaglio ogni attività economica-produttiva e causando pesanti perdite di reddito.
Un problema che non può più essere trascurato perché trasformatosi in una vera e propria emergenza.
A preoccupare ora, è la sorte dei vigneti cilentani in vista dell’imminente stagione di raccolta delle uve.
Ecco la lettera aperta dei produttori di vino al Presidente del Parco Tommaso Pellegrino:
“Una decina di anni fa, l’Ente Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni ha introdotto in natura diversi esemplari di cinghiali, in ottemperanza ad una direttiva europea di difesa delle specie. Da qui l’inizio della problematica: gli esemplari immessi erano cinghiali del nord Europa, una specie più forte e prolifica del cinghiale cilentano.
Le due specie si sono incrociate, creando un ibrido più grande del cilentano e capace di riprodursi velocemente e in gran quantità: una femmina può dare alla luce una dozzina piccoli ogni sei mesi. A ciò si aggiunge la caccia indiscriminata portata avanti da cacciatori inesperti. I cinghiali vivono in gruppo ed ogni famiglia ha un capo branco, un maschio alpha. Se in una battuta di caccia quest’ultimo viene ucciso, si crea uno squilibrio negli accoppiamenti che porta a maggior nascite.
Il tutto deve essere inserito in un territorio a bassa incidenza umana dove i cinghiali posso agire indisturbati.
Nel 2016, l’Ente Parco ha avviato dei corsi per la formazione di cacciatori istruiti, i cosiddetti selecontrollori, utilizzati per un abbattimento selettivo degli ungulati. I selecontrolli, oggi, ci sono e sono autorizzati a sparare anche in periodi in cui la caccia sarebbe vietata, ma dopo qualche mese di attività, le battute di caccia controllate si sono fermate e della loro sorte non si sa nulla.
Il Parco fu obbligato ad attivarsi in tal senso perché erano molteplici le richieste da parte delle istituzioni che raccoglievano le proteste di agricoltori e imprenditori, ma anche di semplici residenti. Gli animali non sono protagonisti soltanto di sortite tra uliveti e vigneti, ma spesso scorrazzano liberamente anche in strada rischiando di provocare incidenti. Numerosi sono i sinistri da loro provocati e in qualche caso si sono registrati feriti molto gravi. L’Ente Parco prevede degli indennizzi, ma i fondi sono sempre esigui, così come i rimborsi erogati, insufficienti a coprire i danni.
Dal 2016 sono passati 4 anni, nulla ancora e’ stato fatto, nel frattempo i branchi di cinghiali sono aumentati a dismisura , non e’ raro incotrarli scorrazzare indisturbati anche nei centri abitati alla ricerca di cibo nei nostri rifiuti, i danni in agricoltura oramai non si calcolano , chi può si arma a difendere il proprio pezzo di terra, trasformandosi in moderno cowboy.
Gli incidenti automobilistici a causa attraversamento mandrie sono frequentissimi.
Oramai l’emergenza è drammatica, se si pensa che un settore come quello vitivinicolo che ha notevole incidenza economica per la nostra provincia, producendo reddito e creando posti di lavoro che permettono anche la sopravvivenza di paesi dell’interno, sempre più a rischio di abbandono da parte degli abitanti”.